Diliberto:
«Sì al carcere duro per i detenuti pericolosi»
da La Gazzetta del Sud del 24.4.99 ROMA – Il Ministero della Giustizia intende portare avanti una politica
rivolta al reinserimento sociale dei detenuti e alla «apertura delle
carceri alla società civile». Tuttavia l'art.41 bis del regolamento
sul «carcere duro» deve essere applicato ai detenuti recidivi
e a quelli che continuano a militare nelle associazioni criminali. Lo ha
ribadito Oliviero Diliberto intervenendo ieri mattina in aula a Palazzo
Madama. «Nella nostra società – ha sottolineato – non vi è
più alcuno che metta in discussione la funzione rieducativa della
pena, quella assunta nella nostra Costituzione repubblicana e tendente
al reinserimento del reo nella società, alla sua rieducazione e
ad impedire che commetta altri delitti». Per Diliberto esiste però
una «esigua minoranza di detenuti che rappresenta un pericolo reale
per la società e per la collettività». «Per questo
motivo, in particolare per quanto riguarda la malavita organizzata, credo
che veda prorogato l'art. 41 bis del regolamento carcerario per gli appartenenti
alle associazioni criminali». Il Guardasigilli ha infine spiegato
che «in questa ottica è stato istituito l'ufficio per la garanzia
penitenziaria» affidato al gen. Enrico Ragosa». «Si tratta
di un ufficio che «non ha nessun potere di gestione negli istituti
di pena», ma serve solo ad «impedire che si possano determinare
situazioni difficili sul piano della sicurezza nelle carceri». Diliberto
ha poi spiegato la mancata riconferma di Margara alla direzione del Dipartimento
dell'amministrazione penitenziaria. Al suo posto è stato scelto
l'attuale procuratore di Palermo Giancarlo Caselli. «La rieducazione,
le riforme, l'apertura del carcere presuppongono consenso sociale e coinvolgimento
dei lavoratori, senza le quali condizioni non potremmo realizzare le riforme
e faremmo propaganda, non politica. Io combatto questa concezione illuministica
e volontaristica della politica, anche da parte del mio schieramento politico,
della Sinistra. Il presidente Alessandro Margara non condivideva questo
progetto». Il Guardasigilli ricorda che «tutte le organizzazioni
sindacali, compresa la Cgil, hanno manifestato la sfiducia nella Direzione
generale, tutte, chiedendo il commissariamento del Dap. Lo stesso presidente
Margara, che è persona di grande valore, ha però ammesso
e dichiarato pubblicamente di essere inadatto a compiti di gestione e lì
si trattata e si tratta di gestire 100mila persone tra donne e uomini,
tra detenuti ed amministrazione». E poichè il ministro non
era d'accordo «con la parte gestionale», l'unico risultato
inevitabile era «la mancata conferma del presidente Margara alla
direzione del Dap. Questo processo poi – aggiunge Diliberto – ha avuto
un'accelerazione perché, in base alla normativa vigente, entro il
31 marzo bisognava confermare o meno i direttori generali». Parlando
del capo della procura di Palermo, il Guardasigilli ribadisce che «non
vi è alcun aggancio, alcun collegamento tra le vicende processuali
palermitane e la mia proposta rivolta al dottor Caselli di dirigere il
Dap. Vi era e vi è la condivisione di un progetto ed il procuratore
Caselli è l'uomo che ha combattuto coerentemente la mafia ma è
anche l'uomo che ha rapporti con il volontariato».
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