L'allarme della Cassazione: troppi ricorsi, rischio paralisi 

da La Repubblica del 24.4.99

di LIANA MILELLA 
ROMA - Il primo presidente della Cassazione non voleva passare alla storia come quello della sentenza sui jeans. Ieri Ferdinando Zucconi Galli Fonseca - il cui cognome svela, di primo acchito, l'origine nobilissima - ha vinto una scommessa. Ha riunito in assemblea le toghe del palazzaccio di piazza Cavour - 350 giudici, una cinquantina di procuratori generali - e le ha condotte per mano a chiedere al Parlamento una riforma epocale: un ritocco della Costituzione che sbarri l'accesso al terzo grado di giudizio. Oggi, chiunque sia stato coinvolto in un'indagine, può ricorrere alla Suprema corte. Lo stabilisce l'articolo 111 della nostra Magna Charta. Le conseguenze sono evidenti: 50mila ricorsi pendenti tra civile e penale. Tempi lunghissimi nelle risposte. Le prescrizioni che hanno la meglio. Sulla restrizione è d'accordo il Guardasigilli Oliviero Diliberto: "La crescita dei ricorsi è eccessiva. Ci vuole uno sbarramento. L'articolo 111 è troppo ampio". È il primo sì non da poco. I primi no vengono da Forza Italia e An. 
Non accadeva da dieci anni che la sala delle assemblee vedesse una riunione straordinaria. Prevista fin dal 1942, s'era tenuta un paio di volte. I vecchi del palazzo dicono che l'aperta discussione faceva paura. Gli ex presidenti la temevano per due buone ragioni: che andasse deserta o si risolvesse in una contestazione. Zucconi l'ha voluta prima di diventare primo presidente. Perché il metodo assembleare fa parte del suo backgroung e perché - nominato in autunno, a giugno andrà in pensione - non ha paura. Nel pettegolezzo delle correnti della magistratura c'è chi, come Unicost (area moderata), ha ritenuto l'assemblea un regalo a Md (sinistra) per la sua nomina, che però è avvenuta all'unanimità. Ma l'idea di un'assemblea per lanciare un forte segnale politico Zucconi la coltivava sin da quando, tra '95 e '98, era procuratore generale. 
L'incontro non poteva cadere in un momento migliore. Per tutti, oggi, la Cassazione è quella della sentenza sui jeans. Il primo presidente ha mostrato un'altra faccia: toghe che s'interrogano sulla loro capacità di garantire una lettura uniforme delle leggi. Che s'angosciano perché schiacciati da una mole di lavoro ai limiti del collasso. Che arrivano a chiedere un ufficio stampa interno per spiegare come lavorano. Zucconi ha commissionato quattro relazioni (Nappi, Lupo, Evangelista, Agrò) e ha lasciato a tutti cinque minuti di intervento. Non uno di più, al punto da togliere la parola perfino all'unico giudice donna (22 in tutto), Gabriella Luccioli, intervenuta per dire: "Dobbiamo aprirci alla società". Lei ci è rimasta male, ma lui è fatto così. In sette ore hanno parlato tutti. Prima di fronte a Oscar Luigi Scalfaro, che non ha detto una parola né dentro né fuori l'aula, poi con meno ufficialità. 
Il risultato è un documento approvato all'unanimità, che contiene alcune richieste fondamentali. Innanzitutto lo sbarramento all'origine con la modifica all'articolo 111 della Costituzione. Zucconi non si lascia sfuggire l'occasione visto che il Parlamento ha sotto mano lo stesso articolo per introdurre il principio del giusto processo. Perché, si chiede, "non approfittarne"? Non solo: troppo spesso la Corte si trasforma da giudice di legittimità in giudice di merito. Bisogna ritornare "alla funzione ordinamentale". Colpe ne ha anche il Parlamento che ha allargato troppo, con leggi sbagliate, la sfera dei ricorsi che nulla hanno a che fare con l'interpretazione della legge. 
E ancora: ci vogliono "filtri" per decidere cosa merita di essere discusso in pubblica udienza e cosa invece (come i ricorsi per vizio di motivazione) si può risolvere con un "procedimento semplificato". La Corte, in attesa di cambiamenti legislativi, può essere più rigida al suo interno selezionando i ricorsi ammissibili e quelli che non lo sono. Ma il punto dolente - per Zucconi una questione di principio - sono le motivazioni delle sentenze: lui le vorrebbe "sobrie e senza concettualismi", il suo modello è la Francia (una sola pagina). La realtà italiana è fatta di pagine e pagine. Ieri tutti si sono ritrovati d'accordo: sì alle "motivazioni concise", soprattutto se si richiamano ad altre sentenze identiche. Chi sgarra potrebbe risponderne. Infine i giudici della Corte: finora, come criterio d'ingresso, è stata premiata l'anzianità. Per il futuro al Csm si chiede più attenzione ai requisiti giudiziari e scientifici. È un no alla Cassazione come cimitero degli elefanti.