Le
offese alla Consulta
da La Repubblica del 24.2.99
di PAOLO BARILE
Mi riallaccio a quanto abbiamo letto sulla "Repubblica" di ieri. Indubbiamente
la Corte costituzionale è stata offesa, e brutalmente, in quello
che è stato chiamato dal presidente Renato Granata un "gioco al
massacro", che chiaramente investe potenzialmente tutte le istituzioni
costituzionali. Col presidente Granata concordo perfettamente quando censura
la frequente sostituzione ad una legittima critica delle sentenze la "contumelia"
o l'"invettiva", l'acrimonioso e preconcetto rifiuto di valutare le ragioni
di quelle decisioni.
Condivido anche la critica che abbiamo letto nei confronti dei silenzi
del Parlamento, del governo e in genere della classe politica: tanto più
se si pensa che la Corte ha finito con lo svolgere una "funzione di supplenza
nei confronti del legislatore. Dal 1978 ad oggi, con il moltiplicarsi dei
quesiti, la Consulta ha subito una sorta di sovraesposizione", come giustamente
nota Augusto Barbera.
Mi permetto di intervenire per suggerire modestamente un completamento
di questa azione promossa dalla Corte. Ci domandiamo: quando e come essa
è stata soggetto passivo di pressioni che tendevano ad influenzare
le sue decisioni?
Tutti noi, naturalmente, possiamo prendere un foglio di carta e denunziare
alla procura della Repubblica i fatti esposti dal presidente (che probabilmente
rivestono tutti il carattere di reati di azione pubblica).
Ma c'è chi può farlo in modo assai più autorevole,
e soprattutto più compiutamente: qui la palla ritorna sui piedi
della Corte costituzionale, la quale è in grado fra l'altro di indicare
nomi e cognomi di chi ha esercitato quelle pressioni.
La mia è, ovviamente, un'opinione spassionata: non mi permetterei
mai di dare un consiglio al giudice delle leggi. Anche l'opinione pubblica
esige di essere informata su fatti di tale gravità, e di essere
informata il più integralmente possibile.
Che cosa osta a che il nostro massimo giudice prosegua la più
che legittima azione iniziata? Nessun pregiudizio può prevalere
su questa luminosa strada della verità.
Il presidente Granata ha aggiunto che la Consulta "in ogni caso rimarrà
fedele al suo mandato, ma se dovesse arrivare il giorno in cui ciò
non le fosse consentito sarebbe quello in verità un giorno certamente
triste per la corte ma molto più triste per la Repubblica". Ma va
aggiunto che quello sarebbe un giorno non solo triste per la Corte e per
la Repubblica, ma il giorno del colpo di stato.
Io ho il vizio di essere ottimista, ma mi rendo ben conto anch'io dello
sfacelo delle nostre istituzioni e della inerzia del governo e del Parlamento
in questo campo. Tuttavia non vedo nello sfondo un colpo di stato. Nel
frattempo tolleriamo ed anzi sollecitiamo la "sovraesposizione" della Corte
costituzionale che è e rimane tuttora il più efficace caposaldo
della nostra democrazia.
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