Tradite
le ragioni della difesa
da Il Mattino del 24.1.99
Claudio Botti*
In un confronto tra «addetti ai lavori» bisognerebbe abbandonare
posizioni ideologiche-politiche, più adatte agli interventi dei
politici di professione che a quelli di magistrati in servizio o di avvocati
militanti. Da questa angolazione, più ridotta ma concreta, il giudizio
sulla stagione di Tangentopoli non può che essere sostanzialmente
critico e preoccupato. Nella euforia di quegli anni si sono consolidate
prassi devianti e un uso anomalo dell’azione penale fatta di inchieste
sulle grande opere pubbliche, su fenomeni sociali o su interi gruppi dirigenti
della vita politica locale e nazionale piuttosto che di indagini preliminari
finalizzate ad accertare singole responsabilità penali. Ci si è
mai chiesti, abbandonando l’ipocrita riferimento alla obbligatorietà
dell’azione penale, come sono stati «selezionati i bersagli»
dai singoli Uffici di Procura e quanto, attraverso queste scelte, si sia
radicato un potente ed inquietante ruolo politico della magistratura inquirente,
trasversale ai partiti nonostante si continui strumentalmente a sostenere
il contrario? Si è poi creato ed alimentato un «circo mediatico
giudiziario» pronto a recepire metodi e finalità di quelle
iniziative, capace di emettere sentenze «finalmente» rapide
ed inappellabili, ma assolutamente indifferente alle sentenze vere, soprattutto
se di assoluzione, come
quelle che decine di giudici anonimi e coraggiosi hanno emesso in questi
anni sotterrando con le loro decisioni, ad esempio, le tanto enfatizzate
indagini sul «voto di scambio».
Le inchieste di «mani pulite» sono ormai concluse da tempo,
i processi non si celebrano perché nessuno, Pm ed imputati compresi,
ha realmente interesse ad una seria verifica giurisdizionale, né
l’attuale sistema giudiziario è in condizioni di garantire l’effettivo
esercizio della giurisdizionale, sia dal punto di vista strutturale ed
organizzativo che da quello normativo.
Altro che scioperi degli avvocati! All’interno dei Palazzi di Giustizia
l’unica testimonianza concreta di quanto è accaduto la si trova
nei nuovi protagonisti della vita giudiziaria del post-tangentopoli: «Il
giudice virtuoso», per fortuna numericamente contenuto, che si arroga
il diritto, a prescindere dalle sue reali virtù, di sentirsi il
migliore, un puro, profondo conoscitore del bene e del male, capace di
garantire persino gli squilibri etici della società e «l’avvocato
di corridoio» che abdicando a principi e dignità ha individuato
nell’onorario e nella confessione mirata del cliente, i motivi fondanti
della sua vita professionale.
Si potrebbe obiettare che l’iniziativa della magistratura ha avuto
una ricaduta ed un rilievo ben più ampio di quello strettamente
giudiziario e che, con quelle inchieste, si è prodotta una salutare
trasformazione sociale e politica nel nostro Paese. Mi piacerebbe sul punto
interpellare qualcuno di quei cittadini che formavano il popolo dei fax,
quelli che presidiavano i Tribunali inneggiando a Di
Pietro e compagni, e chiedergli se hanno soddisfatto le loro aspettative
e se valeva la pena ghigliottinare fondamentali diritti e garanzie individuali
per portare il loro idolo al Parlamento ed inaugurare la stagione dei ribaltoni.
*penalista
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