"Subito
federalismo e giusto processo"
da la Repubblica del 24.6.99
di GIOVANNI VALENTINI
ROMA - "Abbiamo due anni di tempo e mi auguro che la legislatura possa
arrivare alla scadenza naturale. Ma in ogni caso alle prossime elezioni
i partiti, tutti i partiti, saranno giudicati in base a ciò che
avranno fatto o non avranno fatto sul piano delle riforme istituzionali.
Questa è una prova generale di credibilità per l'intera classe
politica". Appena tornato alla guida del ministero per le Riforme che aveva
già diretto in passato, Antonio Maccanico esibisce una fiducia e
una determinazione francamente invidiabili. Sarà il solito ottimismo
della volontà contro il pessimismo della ragione, ma in questa prima
intervista a "Repubblica" il neo-ministro che ha preso il posto di Giuliano
Amato lancia subito un appello all'opposizione per "ammodernare e ricostruire
insieme lo Stato", nonostante gli anatemi lanciati proprio ieri da Silvio
Berlusconi.
Prima della Grande Riforma, parliamo un attimo delle piccole beghe
che ancora dividono il centrosinistra: anche la sua nomina, ministro Maccanico,
è stata motivo di tensione tra D'Alema e Prodi, tra il governo e
i Democratici. Durerà ancora a lungo questa "querelle"?
"In realtà la mia nomina è stata molto più limpida
di quanto non sia apparso. Da tempo il presidente D'Alema aveva pensato
di affidarmi questo ministero, già prima delle elezioni europee,
quando assunse personalmente l'interim dopo il passaggio di Amato al Tesoro.
E per quanto mi risulta, ne aveva anche parlato con Prodi".
Come si spiega, allora, la reazione polemica dei Democratici?
"I Democratici, gruppo al quale appartengo, si sono espressi a mio
favore sul piano personale, ma non accettano l' idea delle delegazioni
dei partiti al governo. Per loro, a norma della Costituzione, è
il presidente del Consiglio che deve scegliere autonomamente i ministri,
senza spartizioni tra i partiti della maggioranza".
A questo punto, lei pensa che si possa superare la conflittualità
all'interno del centrosinistra? E in che modo?
"Si può e soprattutto si deve. Tocca al presidente del Consiglio,
in quanto leader della coalizione, promuovere l'aggregazione di tutto il
centrosinistra, come del resto D'Alema sta già cercando di fare.
L'elettorato condanna questa frammentazione eccessiva. Il nostro sforzo
dev'essere quello di costruire una casa comune dei riformisti, secondo
l'ispirazione originaria dell'Ulivo. Occorre perciò rilanciare un
programma e ridefinire le regole di comportamento reciproco, per far prevalere
i motivi di coesione rispetto alle singole identità e alle differenze
fisiologiche".
Lei crede che in questa prospettiva i Democratici dovrebbero federare
tutte le forze di centro che hanno scelto di allearsi con la sinistra?
"Non mi pare questo il progetto di noi Democratici. I Democratici hanno
una visione comune che va al di là di un tale orizzonte, guardano
a un soggetto politico nuovo che nello stesso tempo sia capace di comprendere
e superare la logica del cartello elettorale".
Dopo i tentativi e i fallimenti del passato, compresa l'ultima Bicamerale
presieduta da D'Alema, che cosa le fa sperare adesso di portare a termine
la Grande Riforma?
"Siamo ormai oltre la metà della legislatura e fin dall'inizio
avevamo indicato due obiettivi: l'ingresso nella moneta unica europea e
appunto l'ammodernamento istituzionale. Il primo obiettivo l'abbiamo raggiunto.
Ora manca il secondo ed è interesse di tutte le forze politiche
realizzarlo: la gente ha toccato con mano che la stabilità di governo
è un bene in sé, perché consente di fare programmi
a medio termine, di governare la complessità sociale, di attuare
politiche pubbliche di crescita economica. Qui il nostro paese si gioca
il suo prestigio anche sul piano internazionale".
Su quale strada e con quale metodo intende procedere?
"I criteri sono due e li ha indicati il presidente del Consiglio alle
commissioni Affari costituzionali della Camera e del Senato: la procedura
di revisione prevista dall'articolo 138 della Costituzione e un ordine
di priorità che mette in testa il federalismo e il "giusto processo",
già in avanzato esame in Parlamento. Poi vengono la forma di governo
e la legge elettorale".
A proposito di federalismo: l' adozione del doppio turno nelle elezioni
regionali, approvato ora a palazzo Madama, implica una scelta analoga anche
nelle elezioni politiche?
"No, non necessariamente. Il ballottaggio punta a convogliare i voti
sui due candidati più forti, nello spirito del bipolarismo. Ma quella
delle Regioni è una situazione tipica, non è detto che debba
essere riprodotta su scala nazionale".
In Parlamento, però, c'è già un progetto del ministro
Amato per il doppio turno di collegio...
"Sì, e quella è la base di discussione per arrivare a
una nuova legge elettorale con il consenso più ampio possibile".
Che cosa significa? Si vuol tornare alle "larghe intese"?
"No, bisogna distinguere tra le soluzioni di governo consociative che
sono perniciose e gli accordi sulle regole che invece sono auspicabili.
Per la revisione costituzionale, è lo stesso articolo 138 che prevede
maggioranze qualificate e quindi grandi accordi in Parlamento, alla luce
del sole. La legge elettorale, come si sa, è una legge ordinaria,
ma anche qui si tratta di ridefinire le regole del gioco e perciò
è opportuno ricercare la massima convergenza".
Tra elezione diretta del presidente della Repubblica e "premierato",
qual è a suo giudizio la soluzione migliore?
"Le due formule possono convivere. Si può eleggere direttamente
il presidente della Repubblica, senza modificare i suoi poteri, il suo
ruolo di arbitro e di garanzia. E si può stabilire, anche nella
nuova legge elettorale, che il presidente del Consiglio è legato
a una coalizione e quindi ai rispettivi candidati, collegio per collegio".
Per varare tutto questo "pacchetto", non sarebbe meglio eleggere un'Assemblea
costituente, come chiedono alcune forze politiche?
"Le assemblee costituenti si fanno quando cadono i regimi e non è
il nostro caso. Piuttosto, parlerei di Assemblea per la revisione costituzionale.
Ma faccio notare che questo è un percorso estremamente lungo: prima,
occorre approvare una legge costituzionale "ad hoc"; poi, bisogna eleggere
l'assemblea e bisognerebbe farlo con il sistema proporzionale, con tutte
le ulteriori difficoltà che ciò comporta. No, se c'è
la volontà, questo Parlamento è in grado di approvare la
Grande Riforma prima della scadenza naturale".
Alleanza nazionale, intanto, ha già lanciato una campagna referendaria
per l'abolizione della quota proporzionale e contro il finanziamento pubblico
dei partiti...
"E ha tutto il diritto di farlo, ma ripeto che anche questo referendum
può essere superato da un'iniziativa parlamentare".
Onorevole Maccanico, da ministro delle Comunicazioni lei ha avviato
a suo tempo una riforma televisiva che è rimasta lettera morta.
Non crede che anche questa sia una priorità da rispettare per garantire
una competizione politica più equilibrata?
"Il disegno di legge 1138 aspetta solo di essere approvato dal Parlamento.
E contiene quattro capitoli importanti: nuove regole sugli affollamenti
pubblicitari, la riforma della Rai, la disciplina delle tv locali, la normativa
sull'innovazione tecnologica attraverso il sistema digitale terrestre...".
Mi riferivo, in particolare, alla "par condicio". Lei ritiene che sia
stata perfettamente regolare l'ultima campagna elettorale per le europee?
"Qualche lista è stata senz'altro avvantaggiata dalla propaganda
televisiva. Ma questo dipende da una carenza di norme che bisognerà
cercare di correggere per il futuro".
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