L’Esecutivo si rimette alla volontà del Senato dopo l’invito
a non emanare il decreto previsto
dalla «legge Bersani»
Regolamento-società,
il Governo rinuncia
da Il Sole 24 ore del 24.6.98
ROMA — Nel confronto per delineare la riforma degli Ordini, l’Europa
—con la condanna della Corte di giustizia Ue sulle tariffe degli spedizionieri
doganali — ha ancora una volta affermato che le ragioni della concorrenza
sono valide anche per le libere professioni. D’altra parte, l’esigenza
della liberalizzazione, derivante dal Mercato unico, era stata sottolineata
con forza dall’Antitrust, attraverso l’indagine conoscitiva chiusa a ottobre.
E anche nella relazione annuale il presidente dell’Autorità, Giuseppe
Tesauro, ha ribadito la necessità di tagliare lacci e lacciuoli
nel sistema delle libere professioni.
Proprio a partire dalle conclusioni dell’Autorità il processo
per giungere alla riforma è stato accelerato e il Consiglio dei
ministri dovrebbe riuscire ad approvare il disegno di legge entro giugno,
avendo preso le misure anche sugli orientamenti parlamentari emersi ieri
con il dibattito al Senato. Tuttavia, secondo Tesauro, finalmente oggi
esiste la volontà di cambiare e il Governo sta facendo «un
buon lavoro», coinvolgendo nella riflessione tutte le forze in campo.
E «alla fine — per Tesauro — si arriverà a un risultato soddisfacente».
Presidente, l’orientamento della Corte di giustizia rappresenta un
punto fermo per le tariffe dei professionisti e per il sistema ordinistico.
La sentenza della Corte di giustizia era in grande parte prevedibile. Il
problema principale era la nozione di impresa e la Corte ha sancito che
un Ordine, nel caso specifico il Consiglio nazionale degli spedizionieri
doganali, costituisce un’associazione di imprese. Gli spedizionieri sono
imprese.
Che cosa significa il passo della sentenza in cui si dice che occorre
esaminare in quale misura un’organizzazione professionale si comporti come
un’associazione d’impresa? Gli Ordini non sono equiparati tout court ad
associazioni di imprese e occorre vedere caso per caso? In sostanza
si parte dalla nozione d’impresa come attività economica, una nozione
molto ampia, che non è detto sia la stessa del Codice civile, piuttosto
ritagliata dalle norme sulla concorrenza. In questo senso la definizione
di impresa riguarda qualunque attività economica, nel settore dei
beni e dei servizi. Quindi è facile dire che lo spedizioniere è
un’impresa poiché esercita un’attività economica, vale a
dire presta servizi dietro corrispettivo. Quando si passa all’associazione
di imprese, cioè all’organo che rappresenta gli spedizionieri, occorre
considerare quale attività svolga l’Ordine. In linea di principio,
si parte dal presupposto che lo status di ente di diritto pubblico non
è di ostacolo all’applicazione delle norme sulla concorrenza. La
Corte ha smontato definitivamente la difesa delle categorie professionali,
secondo cui le norme sulla concorrenza non si applicano poiché i
professionisti non sono imprese e gli Ordini non sono associazioni di imprese
Questo che cosa implica per quanto riguarda le tariffe?
Bisogna scendere nel merito per vedere qual è l’attività
dei Consigli nazionali e il loro ruolo nella determinazione delle tariffe,
che varia da Ordine a Ordine. Per esempio, la Corte è andata ad
analizzare come è formato il Consiglio nazionale degli spedizionieri.
In questo caso ha rilevato che il Consiglio nazionale, che ha deliberato
le tariffe, è composto solo da spedizionieri e non è un organismo
terzo. Il che succede quasi sempre: è difficile che un Consiglio
abbia componenti estranei, se si fa eccezione di qualche rappresentante
di un ministero. Sul tema specifico delle tariffe bisogna comunque stare
attenti, ogni situazione va valutatata per quello che è e non è
detto che si possa estendere — quanto meno non in modo automatico — il
discorso fatto per gli spedizionieri ad altre categorie. Perché
gli iter per la determinazione delle tariffe sono diversi: talvolta è
il ministero che fissa i valori, a volte le avalla soltanto, altre volte
non svolge alcun ruolo. Si può dire che la sentenza si applica
a quelle situazioni analoghe in cui il Consiglio nazionale decide la tariffa,
su cui il ministero esercita solo un controllo di legittimità?
Sì.
L’estensione non è invece automatica quando è il ministero
che decide la tariffa sentito l’Ordine?
Posso dire una cosa: a mio avviso la sentenza deve costituire un segnale
per gli Ordini che si stanno lacerando su questioni minori e arroccando
su posizioni di retroguardia.
Che cosa intende dire?
Difendersi con posizioni tradizionali contro un fenomeno quale la libera
circolazione, che è naturale nel mercato comune, significa dimenticare
che dobbiamo fare i conti con l’Europa.
Il sistema ordinistico come si sviluppato in Italia è compatibile
con la libera circolazione?
Quello che non è compatibile è arroccarsi per impedire
la libera circolazione. Adesso si parla molto dell’ingresso in Italia dei
grandi studi professionali esteri: il modo migliore per affrontare questo
fenomeno, che deriva dal mercato comune e non può essere risolto
con l’esistenza di Ordini o di tariffe, è organizzarsi meglio e
affrontare la concorrenza. Se questi studi sono vincenti perché
di grandi dimensioni, che gli italiani pensino ad organizzarsi in modo
da avere gli strumenti per competere. Le tariffe di riferimento possono
costituire un punto di equilibrio tra le istanze degli Ordini che nella
tariffa vedono l’estrinsecazione della qualità della prestazione
e il mercato?
La tariffa di riferimento può essere un primo passo ma bisogna
vedere come è utilizzata. L’importante è che non diventi
un elemento di rigidità come i valori minimi e massimi.
La sentenza fa riferimento a settori di pubblico interesse che sarebbero
comunque esclusi dalla pronuncia della Corte di giustizia. A che cosa si
riferisce?
La nozione di interesse pubblico è un limite al funzionamento
del sistema nel suo complesso e quindi è un’eccezione. L’interesse
generale si può estrinsecare nell’affermazione di valori molto alti,
costituzionalemente sanciti, per esempio la salute pubblica o il diritto
di difesa. Tuttavia, va verificato in che termini e in quale misura il
perseguimento di un interesse pubblico è incompatibile con le regole
di concorrenza. In altre parole va fatto un test di proporzionalità
che accerti se, limitando la concorrenza, effettivamente si realizza l’obiettivo
di interesse generale e se non ci siano sistemi meno restrittivi con i
quali si possa raggiungere il medesimo risultato.
Insomma, il futuro sistema dovrebbe essere flessibile.
Dovrebbe avere meno vincoli. Diamo spazio alle fantasia per organizzarci
meglio e per migliorare la qualità del servizio. I lacci mettiamoli
solo dove e quando proprio non ne possiamo fare a meno.
Maria Carla De Cesari
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