Il Pm deve trasmettere gli atti entro 5 giorni dal momento della presentazione
dell’istanza di
riesame
Tribunale
della libertà: «tagliati» i tempi
da Il Sole 24 ore del 24.6.98
ROMA — Dopo le clamorose fughe di Gelli e Cuntrera e l’incredibile evasione
dei due ergastolani dall’aula bunker dove si celebrava il processo in cui
erano imputati, un’altra tegola sta per abbattersi sull’amministrazione
giudiziaria. Per effetto di una sentenza della Corte costituzionale depositata
ieri, un numero imprecisato di detenuti in attesa di giudizio potrebbe
presto uscire dal carcere e diventare uccel di bosco. I giudici di palazzo
della Consulta hanno infatti stabilito che il Tribunale della libertà
deve pronunciarsi al massimo entro 15 giorni dalla presentazione dell’istanza
di riesame della custodia cautelare; e perché ciò sia possibile
è necessario che il presidente del Tribunale avvisi subito dell’istanza
il Pm che aveva chiesto e ottenuto l’arresto, affinché questi possa
fargli pervenire gli atti entro il termine perentorio di 5 giorni dalla
presentazione dell’istanza stessa. Altrimenti, avverte la Consulta, scatta
la scarcerazione. Una decisione che non solo metterà a dura prova
gli uffici giudiziari, costretti a sveltire al massimo i passaggi burocratici,
ma che rischia di avere effetti dirompenti anche per il passato perché
le porte del carcere potrebbero spalancarsi in tutti quei casi in cui il
termine di 5 giorni è stato sforato, anche solo di un giorno. Vale
a dire, nella stragrande maggioranza dei casi, visto che nessuno, finora,
aveva mai pensato che i 5 giorni decorressero dalla presentazione dell’istanza
del riesame. Ecco perché, per ridurre l’impatto della sentenza,
già oggi il ministero della Giustizia diramerà una circolare
affinché gli uffici giudiziari, di fronte alle possibili scarcerazioni,
possano ripristinare al più presto la custodia cautelare.
La decisione dei giudici costituzionali (n. 232/98) non è stata
semplice, come rivelano i tre mesi e mezzo occorsi per depositarla e, soprattutto,
il palese dissenso del relatore, Guido Neppi Modona, che si è rifiutato
di scrivere la motivazione, affidata alla penna del collega Valerio Onida.
Il collegio si è diviso sull’interpretazione, più o meno
garantista, da dare all’articolo 309, commi 5° e 10°, del Codice
di procedura penale, che secondo la Cassazione avrebbe dovuto considerarsi
illegittimo perché non prevede espressamente che l’ordinanza di
custodia cautelare perda efficacia qualora non sia stato dato «immediato
avviso» della presentazione della richiesta di riesame all’autorità
giudiziaria procedente, cioè al Pm (nella fattispecie erano trascorsi
ben 9 giorni). La Consulta, però, non si è spinta fino a
tanto, ritenendo sbagliato il presupposto da cui partiva la Cassazione,
e cioè che, in base alla norma impugnata, l’obbligo di dare immediato
avviso al Pm abbia una valenza puramente ordinatoria, e dunque sia privo
di una sanzione processuale, come la perdita di efficacia dell’ordinanza
di custodia cautelare. Se così fosse, la norma sarebbe senz’altro
incostituzionale; ma così non è, assicura la Corte, perché
diversa è l’interpretazione che ne va data. Pertanto, i giudici
di palazzo della Consulta hanno ignorato la giurisprudenza consolidata
della Cassazione (il cosiddetto “diritto vivente”) e, invece di pronunciare
un verdetto di incostituzionalità, hanno optato per una sentenza
“interpretativa di rigetto” che, in teoria, potrebbe anche essere disapplicata
dai giudici di merito. Ecco perché, sempre in teoria, gli effetti
di questa decisione (in particolare la scarcerazione per inosservanza del
termine perentorio) non saranno automatici, ma soltanto eventuali. Per
restituire certezza al quadro normativo occorrerebbe una nuova legge, che
persino la Consulta non esclude anche per ovviare alle difficoltà
organizzative in cui potranno trovarsi gli uffici; purché, però,
le modifiche si muovano «sempre nell’ambito di un bilanciamento non
irragionevole fra gli interessi in gioco, senza vanificare l’essenziale
funzione di garanzia che ai termini, e alle sanzioni processuali per la
loro inosservanza, si ricollega nel sistema vigente». La Corte
ricorda che con la riforma della custodia cautelare del ’95 il legislatore
ha voluto «sottrarre i tempi del procedimento di riesame ad ogni
determinazione degli organi giudiziari non vincolata a termini certi e
non disponibili, nemmeno nel loro dies a quo, così da dare piena
garanzia alla persona colpita dalla misura circa i tempi massimi della
decisione». Pertanto, la sequenza degli atti è la seguente:
la richiesta di riesame viene depositata nella cancelleria del Tribunale
competente oppure (in base all’articolo 582) in quella di un altro ufficio
giudiziario, che in tal caso dovrà trasmetterla al Tribunale competente;
il presidente del Tribunale deve «curare» che la cancelleria
avvisi «in qualsiasi modo» il Pm affinché questi gli
trasmetta gli atti necessari per il riesame della misura adottata; tra
l’avviso e la presentazione della richiesta non deve esserci alcun intervallo
temporale; il Pm deve trasmettere, o meglio, in base a una sentenza recente
delle sezioni unite della Cassazione, deve «far pervenire»
gli atti al Tribunale del riesame entro 5 giorni dalla presentazione della
richiesta e non dalla ricezione dell’avviso; entro 10 giorni al massimo
dalla ricezione degli atti il Tribunale deve decidere. Complessivamente,
non possono trascorrere più di 15 giorni.
Donatella Stasio
|