Per
i politici la sentenza è giusta: l’inefficienza non può essere
pagata dai cittadini
da Il Sole 24 ore del 24.6.98
MILANO — La sentenza della Corte costituzionale è una nuova doccia
fredda sugli uffici giudiziari. Questa volta nell’occhio del ciclone ci
sono le Procure e i Tribunali della libertà che dovranno rispettare
gli stretti termini — «perentori» ha detto la Consulta — nell’esame
dei ricorsi contro i provvedimenti restrittivi della libertà, pena
la decadenza delle misure.
«Siamo nei guai» dice Elena Paciotti, presidente dell’Associazione
nazionale magistrati. «Il problema è sempre lo stesso — osserva
—: tutte queste leggi e decisioni garantiste vanno benissimo, ma si devono
avere i mezzi per attuarle». L’Anm, dopo le polemiche sulla legge
Simeone-Saraceni, anche di fronte alla sentenza della Corte costituzionale
sottolinea che si creeranno serie difficoltà: «Le istanze
sulle misure cautelari — spiega la Paciotti — implicano spesso decisioni
su questioni complesse e delicate che tuttavia il Tribunale si trova a
dover affrontare in pochissimo tempo. Basti pensare ai procedimenti di
criminalità orgnizzata in cui vengono emesse decine e decine di
ordinanze». Putroppo, conclude la presidente dell’Anm, le leggi cambiano
a gran velocità e non c’è il tempo di riorganizzare il sistema
che già si deve far fronte a una nuova emergenza.
È preoccupato anche Paolo Giordano, procuratore aggiunto di
Caltanissetta, ufficio in prima linea nella lotta alla mafia. Giordano
non teme però scarcerazioni di massa quanto un’accentuazione del
carattere sommario del giudizio sulla libertà. «Penso che
la decisione dia un’interpretazione rigoristica dei termini — afferma —
e così il procedimento che è concepito come sommario lo sarà
sempre di più e diventerà più incompleto». È
vero, aggiunge il magistrato, che nella prassi i Pm preparano gli atti
da inviare al Tribunale della libertà contestualmente all’emissione
delle misure, «ma i problemi ci saranno ugualmente per l’obbligo
dei Pm e il diritto della difesa di presentare anche gli elementi favorevoli
all’indagato».
Un altro magistrato, Bruno Giordano, Pretore a Torino, sottolinea che
per i Tribunali della libertà, «già ingolfatissimi,
sarà sempre più difficile rientrare nei tempi di legge».
Soprattutto nel caso degli uffici “periferici”: dovranno rispettare i cinque
giorni dal deposito dell’istanza facendo viaggiare (sia pure via fax) atti
per migliaia di pagine verso il capoluogo del distretto. Cauto l’ex guardasigilli
Giovanni Conso: «È un forte richiamo allo sveltimento delle
procedure e all’utilizzazione dei mezzi di comunicazione più idonei
allo scopo» però per giudicare l’impatto sugli uffici bisognerà
aspettare: «Molto dipenderà dall’atteggiamento della Cassazione».
Ma il principio, difficoltà operative a parte, è giusto.
Lo ammettono i magistrati, lo dichiarano ad alta voce i politici, dell’opposizione
e della maggioranza. Gaetano Pecorella, l’avvocato ex presidente dei penalisti
italiani ora eletto alla Camera per Forza Italia, se la prende con il ministero
della Giustizia: «In materia di libertà — dice —l’interpretazione
non può che essere restrittiva. Un difetto delle strutture giudiziarie
non deve tradursi in un costo per il cittadino. Anche in questo caso, però,
come per la Simeone-Saraceni, il ministero non poteva non sapere eppure
non è stato previsto un potenziamento delle strutture». Il
senatore Guido Calvi, avvocato diessino, picchia duro sulle sacche di inefficienza
dell’apparato giudiziario. «È un problema di cui prima o poi
ministero, Governo, Csm e tutti i magistrati dovranno farsi carico —afferma
Calvi —. Accanto a giudici schiacciati dal lavoro e dalle responsabilità
ce ne sono di inefficienti». Ma le vistose smagliature del sistema,
per Calvi come per Pecorella, non possono essere fatte pagare al cittadino.
Roberta Miraglia
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