La trascrizione dei preliminari sconfitta dai valori di mercato

da Il Sole 24 ore del 24.6.98

MILANO — Nell’acquisto della casa, se devono scegliere tra maggiori garanzie di sicurezza e un immediato vantaggio fiscale, gli italiani non hanno dubbi: risparmiano sulle imposte. É questa, per quanto banale possa apparire, la spiegazione del fallimento della legge 30/97, che ha introdotto la facoltà di trascrivere nei pubblici registri immobiliari i contratti preliminari di compravendita.
Le ragioni che avevano indotto il Parlamento a far scattare l’innovazione sono note: l’aspirante compratore, attraverso la registrazione del compromesso, si pone sotto tutela rispetto ai rischi cui può andare soggetto (potenziale fallimento dell’imprenditore che sta vendendo l’immobile, lungo intervallo di tempo prima del rogito, caparra di importo molto elevato). Altrettanto note sono le controindicazioni: nel preliminare è necessario indicare il prezzo vero, perchè gli effetti della vendita non si sono ancora prodotti. Di conseguenza, l’eventuale trascrizione comporterebbe il pagamento dell’imposta di registro sul valore pieno. Un salasso da evitare per quanto possibile, considerate le aliquote vigenti (si veda l’articolo qui a fianco).
Ai riscontri di comune esperienza si è aggiunta, qualche settimana fa, anche un’indagine Federnotai-Codres, dalla quale emerge che, mentre quasi il 90% degli acquirenti usa il contratto preliminare come prima tappa verso l’acquisto, solo il 5% lo trascrive. Nella disaggregazione per aree, la quota dei soggetti che registrano il compromesso si avvicina al 10% al Sud, ma rasenta lo zero al Nord. In pratica quasi nessuno, se proprio non sia costretto dall’evidente rischiosità dell’operazione, ricorre allo strumento previsto dalla legge 30/97.
La sortita del ministro Vincenzo Visco sulla necessità di riordinare la fiscalità immobiliare consente ora ai notai di rilanciare una proposta avanzata già lo scorso anno, e approdata alle Camere in sede di esame del Ddl collegato alla Finanziaria ’98, ma senza successo, perchè la manovra fu poi “blindata” con il ricorso al voto di fiducia. L’idea è quella di svincolare la tassazione dal prezzo, utilizzando invece la rendita catastale. «Se le imposte si applicassero sul valore catastale, indipendentemente dal prezzo dichiarato nell’atto — spiega Giancarlo Laurini, presidente del Consiglio nazionale del notariato — le parti non avrebbero più alcuna ragione di mascherare gli importi reali delle compravendite. Il mercato ne guadagnerebbe in trasparenza, e lo stesso Catasto, attraverso il graduale emergere dei valori veri, potrebbe ben presto presentare un quadro perfettamente conforme alla realtà».  Annullare la rilevanza fiscale della parte di prezzo che supera il valore catastale potrebbe comportare una perdita di gettito? No, secondo i notai. «Funzionerebbe a pieni giri la trascrizione dei preliminari — ricorda Laurini — che comporta pur sempre un introito per lo Stato. E poi, già oggi, quanti atti si stipulano con l’indicazione di un prezzo superiore a quello catastale?».
E.Si.