Mancuso: «Necessario il controllo di gestione»

da Il Sole 24 ore del 24.5.99

Le statistiche degli economisti del ministero del Tesoro sono utili come punto di partenza, ma la realtà delle carceri è complessa. «Il servizio che l’amministrazione deve assicurare è composto di pezzi di natura diversa e i pezzi più costosi sono anche quelli di maggiore qualità e, purtroppo, di più difficile realizzazione». Parte da questa premessa Paolo Mancuso, il vicedirettore generale del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (nonché reggente, fino all’annunciato arrivo di Gian Carlo Caselli), nel valutare la ricerca del Tesoro. «Nelle riunioni con la Commissione abbiamo sottolineato il rischio di una valutazione del sistema carcerario basato solo sul criterio dell’economicità».
Quale rischio?
In un istituto in cui il detenuto, poniamo, stia in cella 22 ore al giorno, trascorra l’ora d’aria in un cortile sovraffollato, consumi pasti di qualità mediocre, non riceva formazione professionale o servizio scolastico, i costi saranno bassissimi. Ma evidentemente non si valuta su questa base l’efficienza del sistema. Che ci siano sprechi è vero, e ciò fa parte di quelli che chiamerei i "quotidiani rischi" dell’amministrazione. Individuare ed evitare questi sprechi è possibile con un’accuratissima, costante verifica della gestione. Ecco l’esigenza primaria. Quella della Commissione è un po’ la fotografia dell’esistente.
Qual è, allora, il passo successivo?
Il controllo di gestione. Abbiamo già chiesto al ministro di affidare a una qualificata consulenza esterna la strutturazione di un vero servizio di auditing interno.
La ricerca rileva disparità di spesa tra Nord e Centro-sud. Qual è la causa?
Il personale della polizia penitenziaria, come tutte le forze di polizia, oggi proviene pressoché esclusivamente dal Mezzogiorno e tende a ritornarvi. Ne deriva una distribuzione fortemente sbilanciata: nel Nord c’è un rapporto poliziotti/detenuti pari a 0,6-0,7; nel Mezzogiorno il rapporto sale allo 0,9 con punte di 1-1,1.
In alcune realtà, pertanto, per ogni detenuto c’è anche più di un poliziotto. Ma esiste un rapporto ottimale?
Come media generale, tenuto conto dei turni, delle "traduzioni" fra le carceri e per le aule di giustizia, si valuta intorno a 0,85-0,90, ma bisogna considerare le caratteristiche di ciascun istituto, sia strutturali sia per tipologia di detenuti.
Dunque, esiste una distribuzione del personale non equilibrata?
Sicuramente. E questo spiega le differenze geografiche di spesa, ma è difficile impedire la mobilità. I prossimi concorsi saranno su base regionale, e le cose cambieranno.
L’indagine segnala che il costo degli istituti diminuisce con l’aumentare delle dimensioni.
È chiaro che se a San Vittore ci sono 1.800 detenuti con 700 poliziotti, la spesa media è inferiore. Nei casi di 200 detenuti con altrettanti poliziotti, la spesa è più alta, ma il servizio è sicuramente migliore.
Significa che per abbattere i costi si dovranno costruire istituti più grandi?
Vicino Parigi ce n’è uno per 3mila detenuti, ed è un fallimento, perché i problemi di gestione, personale, sicurezza e controllo sono enormemente superiori rispetto a strutture più agili. Penso che, nella situazione attuale, la dimensione ideale sia di 5-600 detenuti. Ragionando a lunga scadenza, l’ottimale è di 2-300 detenuti.
Le risorse destinate alla rieducazione sono l’1,2% del totale. Sono in linea con i progetti o si tratta di risorse basse?
Bassissime, non basse. Il vero problema, però, è quello del lavoro: le risorse sono modeste e, per di più, continuamente ridotte a ogni Finanziaria. Stiamo cercando risposte diverse, come quelle del disegno di legge sugli incentivi al lavoro dei detenuti. E per fortuna c’è anche il volontariato, il più delle volte gratuito.
Il Parlamento sta anche discutendo la delega sul riordino delle carriere dei direttori d’istituto e della polizia penitenziaria.
La gestione degli istituti richiede grandi responsabilità ed è necessario riconoscere ai direttori, almeno delle carceri più grandi, la qualifica di dirigenti. È uno dei primissimi obiettivi e lo stiamo perseguendo con il Ddl delega approvato dalla Camera e ora all’esame della commissione Affari costituzionali del Senato. L’altro punto, altrettanto forte, della riforma è il ruolo direttivo della polizia penitenziaria (previsto e inattuato dal ’90) che potrà contare sullo stesso percorso di carriera della Polizia di Stato. Oggi il massimo grado nella polizia penitenziaria è quello di ispettore, più o meno equivalente a un maresciallo. Ma l’ispettore può anche dirigere un reparto di 700 uomini: non esiste in nessun’altra amministrazione una tale sperequazione tra responsabilità e qualifica. Su queste basi tutte le professionalità nelle carceri, civili e di polizia, saranno riqualificate e suddivise in quattro aree (sicurezza, educativa, amministrativa e contabile), con la supervisione generale del direttore di istituto.
A.Che.