Nordio: «La giustizia, che minotauro»

da Il Corriere della sera del 24.5.99 

VENEZIA 
Un Paese può sopravvivere anche senza una Costituzione, come avviene per il Regno Unito, ma non può stare senza una procedura penale efficiente e una legge elettorale efficace. E il peggio viene - afferma Carlo Nordio - quando la Legge fondamentale dello Stato, considerata (a torto) venerabile formula sacrale e quindi intoccabile, paralizza, di fatto, il corretto esercizio della giustizia». Il pubblico ministero di Venezia teme le parole, di farsi capire anche dai non addetti ai lavori. Anzi, il suo secondo saggio si rivolge soprattutto a loro. 
Il lettore viene guidato lungo il percorso di scardinamento del «mito Costituzione». Con l'obiettivo di dimostrare il fallimento dell'attuale processo penale. «Non è che l'esempio eclatante - spiega - dell'impossibilità di ogni sostanziale riforma della giustizia (e non solo di essa) se non si modifica l'assetto costituzionale dello Stato». Nordio, del resto, definisce il rito accusatorio «un minotauro bicefalo, con il corpo di Perry Mason, una testa del ministro fascista Rocco e un'altra di origine incerta». 
Cinquantenne, nato a Treviso, il sostituto procuratore Carlo Nordio non ha alcuna difficoltà ad ammettere che, anche per motivi generazionali, non esercita professioni di fede nei confronti della Resistenza. Di più: ne denuncia l'enfatizzazione dei meriti e dei successi, nel quadro storico dell'Italia «liberata dagli Alleati e non dai partigiani». La Resistenza come «autoinganno militare e quindi politico». Da qui, il magistrato prende le mosse per spiegare la fragilità e la contraddittorietà della Costituzione italiana. Frutto di compromesso. «Costellata da nobili principi, temperati da allarmanti eccezioni», avverte. Ed esemplifica: «La libertà personale è inviolabile, ma può essere limitata dall'autorità giudiziaria...». E così via, per numerosi articoli della Costituzione. «Le decine di giuristi, avvocati, magistrati che hanno contribuito alla nascita del nuovo codice non si accorsero - osserva Nordio - che il risultato non era congruente con la Legge fondamentale. E la conferma venne subito dalla Corte costituzionale, che cominciò a demolirlo con sistematico rigore». 
Risultato? In un Paese dove più del 90 per cento dei processi penali finisce con la sospensione della condanna, la certezza della pena non fa breccia nella mente del cittadino. Cresce l'allarme sociale. «Ed è illusorio pensare - dice Nordio - che la magistratura, da sola, riesca ad affrontare le emergenze criminose. Le sue, se non si cambia la Costituzione, sono armi spuntate». 
Marisa Fumagalli,