«Impossibile
non parlare di fatti così gravi»
da Il Messaggero del 24.5.99
di MARIO COFFARO
ROMA - L’invito al silenzio stampa del procuratore di Roma Salvatore
Vecchione non è condiviso dal procuratore di Palermo Giancarlo Caselli
da poco nominato direttore generale dell’amministrazione penitenziaria
né da altri magistrati: «È impossibile non parlare
di questi fatti gravissimi». Sabato scorso Vecchione con un freddo
comunicato aveva ripetuto l’ennesimo appello ai mezzi di informazione «alla
collaborazione» con gli organi inquirenti, «perchè il
pericolo è che ciò che viene pubblicato funga da cassa di
risonanza. Sarebbe opportuno evitare deduzioni e illazioni».
Sembrava quasi che una cappa di piombo fosse scesa sulla società
italiana. Siamo tornati di colpo agli «anni di piombo»? Così
si chiedevano ieri autorevoli quotidiani. Ieri pomeriggio, però,
un intervento più equilibrato è giunto da Giancarlo Caselli,
un magistrato che ha l’esperienza di un lungo impegno in processi contro
il terrorismo degli anni ’70 e contro la mafia. Caselli non condivide l'invito
del procuratore della Repubblica di Roma, Salvatore Vecchione, a mettere
la sordina all'informazione sulle Brigate Rosse. E ieri sera al Telegiornale
di Rai 3, Caselli ha detto che «è necessario parlare di questi
fatti gravissimi per capire qualcosa di più rispetto a quello che
ci si vuole far credere. Capire perchè succedono questi fatti, quali
sono i veri obiettivi, al di là delle apparenze».
Ma i giornali, ha sottolineato Caselli, devono affrontare il tema terrorismo
«senza nessuna indulgenza, nessuna equidistanza, senza nessuna cronaca
asettica. L'informazione deve essere un po’ formazione, cercare di far
capire». Per Caselli, gli organi di informazione devono chiarire
«che questi sono solo assassini, che dal punto di vista politico
sono dei parassiti. Sono le avanguardie di niente e di nessuno. Se non
uccidessero, le loro elaborazioni finirebbero nella spazzatura, come dalla
spazzatura partono i volantini che seguono ai loro attentati».
Tutto il contrario, come si vede dell’impostazione del procuratore
Vecchione, seguendo la quale si finirebbe con il non pubblicare più
nessuna notizia su testimonianze, identikit, piste seguite, elementi raccolti.
Fino a quando? Non si sa esattamente, se fino alla chiusura delle indagini
o del processo. In ogni caso tra parecchi anni.
Nel suo appello il procuratore Vecchione ha ricordato che: «Il
fenomeno può essere pericoloso visto quanto accaduto in passato
per questo c'è bisogno della collaborazione dei mezzi di informazione
perchè il pericolo è che ciò che viene pubblicato
funga da cassa di risonanza. Sarebbe opportuno evitare che deduzioni e
illazioni vengano offerte in lettura come circostanze di fatto oggetto
di indagini». Perciò la richiesta ai mezzi di informazione
di un rispetto «a una nostra doverosa esigenza di segretezza».
E l’annuncio, scontato, che «la Procura opporrà la segretazione
a tutti gli atti che saranno compiuti».
La pensano diversamente da Vecchione anche altri giudici. Nino Abbate,
che è stato giudice a latere di numerosi processi ai terroristi
tra cui quello per la strage di via Fani e il rapimento e l’uccisione di
Aldo Moro dice: «Secondo me l’informazione deve fare la sua parte
correttamente, sforzandosi di non andare a caccia di scoop a tutti i costi
e non sbattendo in prima pagina qualunque cosa faccia vendere copie. Altro
discorso è il segreto sulle indagini che a mio parere serve e dev’essere
mantenuto. Ma certo la stampa non può mantenere il segreto sulla
risoluzione strategica che gli viene inviata dai terroristi. Meglio però
non far dietrologie. È giusto invece far capire che c’è un
gruppo di delinquenti che cerca di alterare il gioco democratico».
Il presidente dell’Associazione magistrati, Antonio Martone dal canto
suo afferma: «Secondo me non bisogna confondere i due piani. Uno
è quello della segretezza delle indagini, necessaria e che dev’essere
assicurata principalmente dagli investigatori e dai magistrati. Raccomando
perciò che non si verifichino fughe di notizie dannose alle indagini.
Altra questione è quella del giornalista che nel prospettare gli
avvenimenti dovrebbe fare attenzione a non fungere da cassa di risonanza
a una errata ideologia. Ma certo la stampa deve raccontare i fatti e riflettere
e commentare altrimenti verrebbe meno la democrazia».
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