"Carcere
anche per i pentiti"
da La Repubblica del 24.3.99
di ATTILIO BOLZONI
PALERMO - Nella lotta alla mafia i pentiti sono sempre indispensabili
ma la legge - dopo sette anni - adesso si può anche modificare.
Per evitare che in certi casi possano tornare a delinquere, come è
accaduto in Sicilia e altrove. Per scongiurare anche l'ipotesi di possibili
"condizionamenti", come da più parti si è detto e ancora
si dice. Per regolare al meglio il loro trattamento economico, dopo scandalosissimi
precedenti. E' da un po' di tempo che Gian Carlo Caselli, procuratore capo
di Palermo, spiega, per convegni e seminari (l' ha fatto anche l'altra
sera a Novara), "che c'è la necessità di migliorare la legge
sui collaboratori di giustizia".
Procuratore Caselli, è davvero così tanto cambiata la
situazione dal 1992 ad oggi e, soprattutto, cos'è che non va secondo
lei nell'attuale legislazione sui collaboratori di giustizia?
"Lo strumento rimane sempre necessario e preziosissimo ma non siamo
più come nel 1992, quando lo Stato era in ginocchio e la mafia siciliana
sembrava più forte di tutto e di tutti. Dopo le stragi ci siamo
attrezzati con strumenti adeguati per combatterla, sono passati sette anni,
adesso possiamo migliorare grazie a ciò che l'esperienza in questo
arco di tempo ci ha insegnato".
E quindi, cosa fare?
"Innanzitutto rendere più difficile o impossibile che il collaboratore
possa essere risucchiato nell'ambiente criminale di provenienza. Poi, fissare
un termine entro il quale il collaboratore deve rendere tutte le sue dichiarazioni.
E, naturalmente, in condizioni tali da impedire anche solo l'ipotesi di
una possibile combine. Così ci si assicura ancora di più
l'affidabilità del collaboratore".
Qui in Sicilia abbiamo avuto il "caso Di Maggio" (il pentito di San
Giuseppe Jato tornato tre anni fa nel suo paese per fare una guerra di
clan): come evitare vicende analoghe?
"La restituzione troppo anticipata della libertà, ad esempio,
può spesso comportare che il collaboratore ricada nella sua rete.
Dopo le stragi del 1992 era necessario dare una forte spinta ai pentiti,
oggi si può pensare che il collaboratore resti in carcere un congruo
periodo di tempo quale che sia il suo livello di contributo".
In passato ci sono state anche molte polemiche sui soldi dati ai pentiti...
"Ci vogliono assolutamente regole precise. Chi si mette contro Cosa
nostra mette a rischio totale la sua stessa vita e quella di tutti i suoi
familiari, quindi lo Stato deve proteggere i collaboratori e garantire
la loro sopravvivenza. Il problema è dare questo e non di più".
Si parla tanto di collaboratori di giustizia, ma quasi mai dei testimoni
nei processi di mafia...
" I testimoni dei processi di mafia non hanno nulla da farsi perdonare:
bisogna affrontare al più presto la questione con una legislazione
specifica".
Insomma, i pentiti sono sempre necessari ma è arrivato il momento
di cambiare. E' così, procuratore Caselli?
"Sono almeno due anni che ripeto sempre le stesse cose - dicevo anche
prima di certi episodi avvenuti quaggiù in Sicilia (il riferimento
è al famigerato ritorno armato di Balduccio Di Maggio e della sua
cosca a San Giuseppe Jato, uno sbarco avvenuto nel novembre del 1997 e
avvolto ancora da molti misteri ndr) - non siamo più nell'estate
del 1992, dopo sette anni è doveroso fare un bilancio e tentare
di andare avanti nel miglior modo possibile".
Lei sostiene sempre che i pentiti sono indispensabili, ma in questi
ultimi anni anche le forze di polizia hanno ottenuto eccellenti risultati
senza la "guida" dei collaboratori.
"E' verissimo, qui in Italia abbiamo investigatori di primissimo ordine
nei carabinieri, nella polizia, tra i finanzieri. Ci sono state inchieste
condotte senza l'apporto dei collaboratori, sono stati catturati numerosissimi
latitanti senza che ci sia stato un pentito a indirizzare gli investigatori,
ma solo i collaboratori possono svelare certi segreti di Cosa nostra".
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