Le
perquisizioni senza il legale
da L'Unione Sarda del 24.3.99
Maria F. Chiappe
Il procuratore generale sorride e tira dritto. Sono le 11,25 quando,
protetto dai vetri scuri della Croma blu, lascia la caserma dei carabinieri
di via Nuoro. Neanche una parola sulle due ore di testimonianza davanti
al procuratore di Caltanissetta Giovanni Tinebra che da due giorni cerca
a Cagliari elementi utili a chiarire alcuni, contestatissimi, episodi che
hanno preceduto e seguito l'interrogatorio - e il suicidio- di Luigi Lombardini,
lo scorso 11 agosto.
Si sono impegnati tutti al silenzio, impossibile scucire una sola parola.
L'atteggiamento di pm e testimoni è comprensibile: l'inchiesta riguarda
l'attività del pool di Palermo guidato da Giancarlo Caselli e si
vuole evitare, con la fuga di notizie, una nuova stagione di veleni. Anche
se non è qui in discussione l'interrogatorio dell'ex procuratore
della pretura circondariale di Cagliari suggellato dal colpo di pistola
mortale (il Csm ha archiviato l'inchiesta giudicando legittimo il lavoro
del pool) ma le perquisizioni: dell'ufficio dello stesso Lombardini, dell'abitazione
del giudice pochissimo tempo dopo la morte e anche quella, il 28 luglio,
dello studio legale dell'avvocato Luigi Garau. Atti contestati sin dal
primo momento che hanno convinto poi i familiari di Lombardini a presentare
la denuncia che ha portato in Sardegna i pm di Caltanissetta, competenti
a indagare sui magistrati di Palermo. Tinebra e il suo sostituto Luca Tescaroli
ieri mattina hanno sentito un testimone d'eccezione: il procuratore generale.
Non c'era l'11 agosto al Palazzo di giustizia Francesco Pintus, è
arrivato pochi minuti dopo il suicidio, non appena la notizia si è
sparsa in tutta la città. Aveva commentato soprattutto i metodi
degli uomini di Caselli: «Lombardini è una vittima del modo
di gestire le indagini nei confronti dei giudici». Forse ieri mattina
ha spiegato il retroscena di quelle parole pronunciate a caldo. Ipotesi,
niente più che ipotesi: neanche al rientro nel suo ufficio il pg
(che ieri compiva 70 anni) ha voluto parlare dell'interrogatorio: «Mi
sono impegnato al silenzio».
Sulla stessa lunghezza d'onda si è mosso l'avvocato Luigi Garau,
interrogato per un'ora nel pomeriggio di ieri prima dell'avvocato Luigi
Concas, sentito come persona informata sui fatti (questa notizia non trova
una conferma ufficiale ma proviene da fonte molto attendibile). Concas
difendeva Lombardini (oltre allo stesso Garau e all'editore Nicola Grauso)
e ha sempre contestato la decisione del pool di Caselli di perquisire l'ufficio
del magistrato, sotto inchiesta per estorsione, al termine dell'interrogatorio.
Concas si era appena allontanato dal Palazzo quando a Lombardini è
stata comunicata la decisione. A quel punto è stato chiamato l'avvocato
Pierluigi Concas, figlio di Luigi, e si è deciso di procedere senza
aspettare l'arrivo del difensore.
Quanto all'avvocato Luigi Garau, in questo procedimento avviato «contro
ignoti» dalla Procura di Caltanissetta, è parte offesa. In
questa veste, per la prima volta, ha risposto alle domande dei magistrati:
l'interrogatorio di Garau è legato alla perquisizione del suo studio,
il 25 luglio scorso. I pm siciliani cercavano una lettera scritta da Silvia
Melis durante la prigionia. La lettera non fu trovata ma i pm sequestrarono
le agende del penalista amico di Tito Melis (padre dell'ex rapita) relative
agli anni '97 e '98. In quegli appunti il pool avrebbe trovato la prova
di alcuni fatti, non ultimo l'incontro del 9 ottobre 1997 a Elmas, fra
Tito Melis e Lombardini, in cui il giudice avrebbe consumato l'estorsione.
Non solo: nelle agende di Garau i pm avrebbero trovato le tracce di un
tentativo di calunnia ai danni del procuratore della Repubblica di Cagliari
Carlo Piana e del suo sostituto Mauro Mura. Garau è sempre stato
chiaro: gli appunti non valgono niente e in ogni caso non potevano essere
sequestrati perché il mandato non lo prevedeva. Il pool era, ed
è, di diverso avviso. Ancora Garau alla ribalta l'11 agosto: sosteneva
che l'invito a comparire (era accusato di favoreggiamento nei confronti
di Lombardini) gli fosse stato notificato prima del deposito dell'atto
nella cancelleria del Gip di Palermo. Ha eccepito la nullità. Il
pool ha proseguito.
«I sottoscritti Carlo Lombardini e Maria Teresa Lombardini premettono
che questo esposto non è suggerito da alcun sentimento di rancore
né dalla convinzione che siano attribuibili responsabilità
giuridiche per la morte del loro fratello ai magistrati palermitani che
l'11 agosto 1998 lo hanno interrogato».
Sono le prime parole scritte sulla denuncia che ha portato per due
giorni a Cagliari il capo della Procura di Caltanissetta: l'esposto è
stato inviato il 7 settembre dello scorso anno al ministro di Grazia e
Giustizia e al procuratore generale presso la Corte di Cassazione. I Lombardini
scrivevano di non avere dubbi sulla «correttezza formale» dell'interrogatorio
del pool formato da Giancarlo Caselli, Vittorio Aliquò, Lia Sava,
Antonio Ingroia, Giovanni Di Leo, ma ritenevano che alcuni aspetti meritassero
un chiarimento. I fratelli Lombardini (interrogati avant'ieri pomeriggio
da Tinebra per tre ore) facevano esplicito riferimento alla perquisizione
dell'ufficio del magistrato in assenza del suo difensore, alla perquisizione
della casa del loro congiunto insieme al fatto che fosse stato loro impedito
di entrarvi, alla perquisizione dello studio dell'avvocato Luigi Garau.
Ecco, dunque, in che cosa consiste l'inchiesta della Procura di Caltanissetta
avviata «contro ignoti». Tra l'altro, sembra che non sia stata
neppure ipotizzata un'accusa (era circolata insistentemente la voce di
un abuso d'ufficio).
Gli interrogatori sono top secret, incluso quello del procuratore generale
Francesco Pintus, chiamato a testimoniare sulle cose dette subito dopo
il suicidio di Lombardini. Qui c'è da registrare un fatto singolare:
i commenti di Pintus da un lato sono valsi al pg l'apertura di un procedimento
del Consiglio superiore della magistratura per il trasferimento d'ufficio
(sarà sentito dall'organo di autogoverno dei giudici il prossimo
13 aprile e potrà fare dichiarazioni spontanee), dall'altro diventano
prova testimoniale nell'inchiesta penale condotta dalla Procura di Caltanissetta,
competente sulle indagini in cui i magistrati di Palermo siano indagati
o parte offesa. Nel lungo capo d'incolpazione (sei punti in otto pagine)
il Csm contesta, infatti, al procuratore generale i commenti a caldo subito
dopo il suicidio, non certo teneri nei confronti di Giancarlo Caselli.
C'è anche una contestazione relativa all'attività parallela
di Luigi Lombardini: il Csm incolpa Pintus di una «omessa vigilanza
sui comportamenti anomali dell'ex procuratore presso la Pretura circondariale».
E ancora: nell'inaugurazione dell'anno giudiziario del 1996 Pintus aveva
fatto «evidenti riferimenti e apprezzamenti nei riguardi del dottor
Lombardini che, in quell'epoca, aspirava a ricoprire l'incarico di procuratore
della Repubblica di Cagliari». (M. F. Ch.)
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