Rodotà
a Viterbo fa il punto sui problemi aperti per l’Authority
da Il Sole 24 ore del 24.5.98
Dopo un anno la privacy si rimette in discussione
VITERBO — Per la privacy non è che un debutto. Nonostante il
sofferto primo anno di applicazione della legge 675/96, siamo ancora nella
fase di rodaggio. Senza contare che all’orizzonte si profilano impegni
ben più ardui, che costringeranno a rivedere le stesse categorie
concettuali costruite finora.
«Si pensi alle informazioni genetiche, dati che non appartengono
a una sola persona, ma a tutto un "gruppo di sangue" cui quella persona
è legata. Come la mettiamo di fronte al rifiuto di un consanguineo
che, invocando la riservatezza delle proprie informazioni genetiche, si
rifiuta di sottoporsi a un’analisi, fondamentale invece per un suo stretto
parente? Bastano gli attuali strumenti della responsabilità civile
e penale?».
Stefano Rodotà, presidente del Garante per la privacy, ha delineato
i "difficili percorsi" di questa garanzia individuale, indotto da quello
che è stato il tema dell’incontro organizzato ieri a Viterbo dalla
sezione cittadina dell’Associazione nazionale magistrati, in collaborazione
con il Centro studi giuridici viterbese "Quale giustizia" e con la facoltà
di Economia e commercio dell’Università degli studi della Tuscia.
«Le nuove frontiere aprono questioni — ha aggiunto Rodotà
— che mettono in discussione tantissimi concetti giuridici consolidati
o in via di consolidamento».
Non sono problemi solo nostri. Anche negli altri Paesi è in
corso una riflessione e i partner Ue, seppure culturalmente più
attrezzati in fatto di privacy, accusano l’handicap di non aver ancora
recepito la direttiva 95/46, da cui ha preso le mosse la legge 675. L’Italia
è stata la prima, seguita per ora solo dalla Grecia e dalla Svezia.
Per gli altri Stati diventa difficile riuscire ad adeguarsi entro il 24
ottobre prossimo, come invece chiede il provvedimento comunitario. «Un
ritardo — ha commentato Giovanni Buttarelli, segretario generale dell’ufficio
del Garante — dovuto non a inerzia, ma alla complessità dei temi».
«Sbaglia — ha proseguito Buttarelli, riferendosi alla legge nostrana
— chi ritiene che si tratti di una disciplina troppo ambiziosa o incompleta:
era già scritto che sarebbe stata da mettere a punto attraverso
l’interpretazione del Garante, le integrazioni legislative e le norme di
autoregolamentazione di settore. Non dimentichiamo che negli altri Paesi
sono passati anni prima che la privacy si facesse strada».
Al momento in Italia ci troviamo in quella che Natalino Irti, professore
di Istituzioni di diritto privato all’Università "La Sapienza" di
Roma, ha definito la quarta fase di sviluppo della cultura della riservatezza:
«È la fase del dibattito e dell’approfondimento — ha spiegato
Irti — che fa seguito a quella conclusasi con l’approvazione della legge
675, preceduta dal periodo (dal 1948 agli anni 70) in cui l’avvento delle
tecnologie ha costretto i giuristi a rivedere i confini delle garanzie
della privacy. La prima fase, che va dalla fine del secolo scorso all’avvento
della Costituzione, è invece quella in cui si è scoperta
la necessità di tutelare la vita privata».
Che ci sia bisogno di riflettere sull’impatto della legge 675 lo ha
ricordato anche Gustavo Visentini, professore di diritto commerciale alla
Luiss "Guido Carli" di Roma. Visentini ha messo a fuoco le difficoltà
che la nuova normativa presenta per il sistema bancario. Ad esempio, il
problema se sia possibile una informativa, da fornire all’interessato al
momento della raccolta dei dati personali, effettuata attraverso forme
di comunicazione impersonale, come inserzioni sui giornali. Sarebbe uno
strumento utile, ha spiegato Visentini, ma si dovrebbe ammettere la possibilità
del consenso implicito, che invece attualmente non è prevista dalla
legge 675.
Ma la riflessione deve essere, vista la trasversalità della
disciplina, generale e investire campi solo apparentemente "estranei" alla
normativa. Come quello delle indagini penali, su cui si è soffermato
Gianrico Carofiglio, sostituto procuratore presso la procura del tribunale
di Bari: «Esiste una insensibilità del sistema penale ai temi
della privacy e il quadro risulta clamorosamente inadeguato. È,
pertanto, necessario un ripensamento».
A.Che.
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