Concussione e corruzione: facciamone un solo reato 

da Il Mattino del 25.4.99

Nei precedenti due giorni di lavoro l'ipotesi era più volte affiorata ma in modo sommesso. Ieri la tavola rotonda sui processi di tangentopoli - momento clou del V congresso del gruppo italiano dell'Association Internationale de Droit Pénal della quale è presidente Alfonso Stile - l'ha affermato a viva voce: la distinzione fra i reati di concussione e corruzione va superata. Lo ha detto Giovanni Conso, moderatore dell'incontro: «Quando questa distinzione c'è, e c'è sempre, il processo si allunga oltre l'accettabile e alla fine resta sempre un senso di delusione. Tutto quello che può sveltire la fase investigativa e quella processuale dev'essere attuato. Altrimenti non è giustizia, è un tormento per tutti, anche per chi poi viene assolto». Lo ha ripetuto senza mezzi termini Piercamillo Davigo, una lunga esperienza nel pool di Manipulite: «Sono vent'anni che mi occupo di reati contro la pubblica amministrazione, l'esperienza mi dice che questa distinzione fra concussione e corruzione non c'è o c'è soltanto nell'entità della mazzetta: senza il metus, la paura, sarebbero solo stati dati meno soldi». Il punto è allora definire nuovi parametri normativi che ridiano certezza e snelliscano i processi, liberarsi - è ancora Davigo a parlare - di fattispecie incriminatrici che oggi non hanno più rapporto con la realtà e riscrivere le norme piuttosto che affannarsi a ricondurre in esse i fatti. E soprattutto creare una diversificazione di interessi fra i soggetti che commettono il reato, «altrimenti i fatti non saranno mai noti. E' sempre così: finché è possibile tutti negano; poi, messi di fronte all'evidenza dei riscontri investigativi, dicono: siamo stati concussi, una cosa intollerabile, sapeste cosa ci hanno fatto passare...». Dal punto di vista complementare ma al tempo stesso opposto dei penalisti, l'esigenza della riforma è ugualmente avvertita: «L'effetto deterrente mediatico dei processi di tangentopoli oggi si è affievolito», ha affermato l'avvocato Corso Bovio. «Cos'è rimasto dopo quella carica eroica del più coraggioso gruppo di cavalleggeri della giustizia italiana?». Il problema della disparità di trattamento (gli imprenditori, i politici e i pubblici funzionari scoperti e condannati a fronte di una marea di reati rimasti impuniti) lo ha preso di petto Davigo: «Questa è una constatazione vera per tutti i reati. Ma io non ho mai sentito un ladro chiedere al giudice perché stesse processando lui e non tutti gli altri. Eppure si sa che il 90% dei furti viene ascritto ad ignoti e non è perseguito». Molte resistenze a superare l'antitesi concussione-corruzione, lo ha ricordato il professor Conso, vengono dall'avvocatura. Ma le vere resistenze alla riforma sono altrove: fa riflettere sapere che oggi in parlamento ci siano ben 58 disegni di legge sulla triade corruzione-concussione-finanziamento illecito ai partiti e che ciononostante l'alba della riforma sia ben lontana dallo spuntare. O forse è vero che, come si è chiesto uno dei relatori alla tavola rotonda dell'Aidp, «il bisogno di manipulite è oggi meno avvertito?».