L'ex giudice in carcere sulla sedia a rotelle: rendo 600 milioni, fatemi scontare la pena a casa 

da Il Corriere della sera del 25.4.99 

MILANO - Sarà forse per l'importante calvizie, per la rasatura di fresco profumata di dopobarba, per un morbido cardigan che restituisce un che di compostezza alla figura, ma Diego Curtò, l'ex giudice Curtò, del detenuto mostra solo l'afflizione dello sguardo e un'ombra di ossessione nell'argomentare. + entrato a san Vittore per salire su una carrozzella, spinta da un infermiere del centro clinico. E quando a metà mattina si avanza l'ospite inatteso, il deputato di Forza Italia Michele Saponara, la stretta di mano tra l'ex presidente vicario del Tribunale di Milano e l'ex presidente dell'ordine degli avvocati dà all'incontro un ulteriore sigillo di malinconia per un tempo andato per sempre. 
L'uomo in carrozzella comincia dalla cartella clinica, speranza residua di trascorrere i tre mesi che lo separano dall'affidamento in prova ai servizi sociali in via Plinio piuttosto che in via Filangieri. Tra le mura di casa, piuttosto che dietro a una doppia fila di sbarre. «Che vuoi, caro Michele, sono proprio malconcio. Ho le ginocchia devastate dall'artrite, problemi cardiaci. E poi mi tormenta la colite. Quando hanno bussato per portarmi via, credevo che quel volume di certificati medici che avevo preparato fosse sufficiente. E invece». Scuote la testa, si lamenta, anche se il tono di voce non urta mai le corde del risentimento: «Sono stato trattato male, decisamente male». E non dalla direzione del carcere, che lo ha accolto per «espiazione pena» aprendogli le corsie del centro clinico, ma «dai miei ex colleghi magistrati». 
«Due settimane fa, in Cassazione, ho avuto dei segnali evidenti che le cose sarebbero finite come sono finite. Che la condanna della Corte di appello di Brescia sarebbe stata confermata pur essendovi un'alternativa, anche sotto il profilo della prescrizione del reato. Ai miei difensori Delfino e Siracusano, che erano impegnati nel processo Marta Russo, è stato negato un semplice e dovuto aggiornamento di udienza. Due dei consiglieri del collegio giudicante, tra cui il relatore, sono stati improvvisamente sostituiti alla vigilia della discussione della causa. E poi ancora non capisco perché è stato lasciato cadere il tentativo di transazione». 
Ma sì, in fondo, l'uomo in carrozzella ai suoi giudici rimprovera di non aver attinto al pozzo della clemenza. Convinto com'è di aver «già espiato». «Ho perso tutto: amici, fama, salute. Sono uscito dalla magistratura. Cos'altro devo pagare?». Contanti, forse. E lui: «Alla vigilia del processo di Cassazione ho detto che ero pronto a risarcire con 600 milioni in contanti il ministero di grazia e giustizia per evitare la costituzione di parte civile. Mi dissero che la transazione si poteva fare. E invece come è finita? Senza neppure avvertirmi, si sono costituiti in giudizio chiedendomi, senza ottenerlo, un risarcimento di un miliardo. Fatemi scontare la pena a casa, io quei 600 milioni sono sempre pronto a restituirli...». 
Ora, il volto di Curtò è la maschera della mortificazione. La stessa che, sei anni fa, mostrò di fronte all'evidenza processuale di denari accettati con una leggerezza che il codice penale non consente. Anche se oggi, come allora, è difficile capire dove corra lo spartiacque tra pentimento e insistenza nel tenere il punto difensivo: «Ho sbagliato, certo, ad accettare quei soldi da Palladino (480 mila franchi svizzeri ndr). Ma anche i giudici di Brescia hanno parlato di corruzione impropria. Anche loro hanno riconosciuto che se ho commesso un errore è stato nell'importo liquidato al custode giudiziario delle azioni Enimont». Sofismi del diritto che non modificano la censura sociale, che non cancellano il sospetto e il disprezzo etico cui lo ha condannato la corporazione togata cui è appartenuto e che ha tradito. Anche se questo a Curtò non sfugge: «Capisco perfettamente perché il mio caso sia diventato esemplare, capisco perché i miei ex colleghi hanno dimostrato un più di intransigenza nei miei confronti, ma ora che è passato del tempo...». 
Già, confida in un dolce oblìo l'uomo in carrozzella. E nelle malattie dei suoi 70 anni. Saluta l'ospite con una stretta di mano mentre l'infermiere lo spinge verso la sala colloqui dove lo aspettano la moglie Antonia e i figli. 
E il deputato Michele Saponara, guardandolo andar via, per una volta si sorprende d'accordo con il Procuratore aggiunto Gerardo D'Ambrosio. «Ma sì, forse è giusta questa storia della rottamazione penale. Della flessibilità nell'applicazione della pena. In fondo anche Curtò, a modo suo, chiede soltanto di essere dimenticato, rottamato. La sua pena l'ha scontata. + entrato in carcere avendo già saldato buona parte del suo conto con la giustizia. E ho la sensazione che neppure lui sappia cosa debba ancora pagare». Tre anni, 6 mesi, 15 giorni. 
Carlo Bonini