La
Cassazione tra reati mafiosi e divieti di sosta
da Il Mattino del 25.4.99
In un contesto dominato dalla guerra, e dentro una transizione che inquina
tutti i momenti istituzionali più delicati, l’assemblea della Cassazione
celebrata venerdì non poteva risultare centrale. Si è trattato
però di cosa importante. Significativa per ciò che vi è
dietro e per la prospettiva che ha aperto all’assetto della legalità
nel nostro Paese.
La Cassazione ha il compito di uniformare il diritto nazionale. Deve
dire cioè in sede ultima qual è il significato di una legge.
Essa è però anche il giudice dopo del quale non esistono
altre sedi di controllo di una sentenza. Perciò deve contemperare
due funzioni diverse, quella di fare giustizia nel caso singolo, e quella
di interpretare la legge in modo che essa sia applicata allo stesso modo
per tutti. La legge è eguale per tutti se, appunto, viene interpretata
allo stesso modo in ogni caso nel quale viene invocata. Ebbene, i giudici
per primi sanno che soprattutto questa funzione oggi è sostanzialmente
caduta. Una corte suprema pensata per fare fronte a duemila cause di grande
principio nell’arco di un anno, è schiacciata da una mole enorme
di ricorsi, ma soprattutto da un impiego assurdo. Nella stessa udienza
capita di decidere, con eguale tecnica, su una domanda che contesta la
legittimità del collocamento pubblico alla luce del trattato europeo,
e su una sanzione per divieto di sosta. Su una strage mafiosa, e su un
permesso ad un detenuto. Uso scriteriato della autorevolezza di una corte
suprema.
L’assemblea dei consiglieri è una prerogativa della Corte, prevista
dalla legge come forma di organizzazione autonoma. Le maglie perciò
sono strette, per farne uno strumento di cambiamento in una materia nella
quale la legge è sovrana.
Tant’è che quando il presidente Galli Fonseca decise di convocarla,
molti, tra i quali chi scrive, ebbero dubbi. Sembrò un azzardo.
Perché il momento non fa prevedere la capacità del potere
politico di occuparsi di giustizia in modo che non è immediatamente
strumentale.
Invece l’assemblea si è posta soprattutto il problema di cosa
fare subito, per organizzare una risposta giudiziaria moderna, consapevole
del tempo passato da quando una economia lenta, ed una società con
certezze stabili, rivolgevano alla Corte di Cassazione domande sostanzialmente
eguali a se stessa. La certezza della legge oggi è affidata ad una
risposta giudiziaria che consideri quanto è rapido il cambiamento
e quanto altrettanto sollecita deve essere la regola. Non si può
fingere che tutte le cause sono eguali e dimenticare che esse presentano
una urgenza pari all’allarme sociale provocato dal silenzio del giudice.
Perciò con grande attenzione l’assemblea ha elaborato alcune idee
organizzative che possono selezionare le domande e rendere economica, cioè
efficiente, la sentenza. Proposte che toccano prassi antiche alle quali
la cultura del giudice ha fatto sempre riferimento. Tant’è che il
dibattito, in qualche momento, è stato molto forte.
Nessuno si aspetta miracoli. Ma l’azzardo, se di tanto si è
trattato, e che comunque si è rivelato felice, di un’assemblea che
ha preso atto con estremo rispetto del travaglio oggettivo del Parlamento,
ha svegliato l’orgoglio di duecentocinquanta signori che di mestiere debbono
scrivere sentenze ultime, e che pretendono di farlo in modo credibile ed
accettato socialmente.
|