I
penalisti «apprezzano» ma non revocano lo sciopero
da Il Sole 24 ore del 25.2.99
ROMA — Uno schiaffo al Governo e al Parlamento. Fino all’ultimo nei
palazzi della politica, soprattutto al ministero della Giustizia, hanno
sperato in una revoca dello sciopero degli avvocati, già in programma
fino al 20 marzo, che bloccherà tutti i processi in cui è
in gioco l’ormai famoso articolo 513 Cpp. Ma ieri sera, dopo oltre quattro
ore di riunione, la giunta dell’Unione delle camere penali ha confermato
l’astensione dalle udienze, convinta, evidentemente, che la politica del
braccio di ferro paghi più di quella della concertazione, offertale
ancora una volta su un piatto d’argento dal ministro Diliberto. Ai penalisti
non bastano i pur «apprezzabili» sforzi fatti finora dal Governo
e dal Parlamento per dar seguito, dopo un periodo di inerzia, a tutte le
loro richieste: non basta che il Senato abbia approvato la riforma costituzionale
del giusto processo; non basta che il Governo abbia varato il disegno di
legge tampone sul «513», che nei contenuti riproduce esattamente
una loro proposta e che avrà, lo ha ribadito ieri Diliberto garantendo
la compattezza della maggioranza, una corsia preferenziale; non basta che
il presidente della commissione Giustizia del Senato, Michele Pinto, assicuri
che da martedì comincerà anche l’esame dell’attesa riforma
complessiva del sistema delle prove. Come San Tommaso, gli avvocati vogliono
vedere per credere e perciò ieri hanno deciso di tirare ancora un
po’ la corda dello sciopero (è il secondo in 4 mesi). «Purtroppo
— spiega il presidente dei penalisti Giuseppe Frigo — non abbiamo avuto
assicurazioni sulla corsia preferenziale da assegnare all’esame del Ddl
tampone sul 513. Anzi, sembra che l’opposizione non sia orientata in questo
senso. Perciò abbiamo deciso di rinviare eventuali modifiche alla
delibera sulle astensioni dalle udienze alla decisione del Parlamento sulla
corsia preferenziale. Se ciò dovesse avvenire, ci riuniremo d’urgenza».
Uno schiaffo, dunque, innanzitutto a chi (Diliberto) per un’intera
mattina aveva cercato di rassicurare gli avvocati in tutti i modi, riconoscendo
la legittimità dei loro scioperi (ed escludendo «interventi
legislativi punitivi») e dando atto ai penalisti di aver conquistato
«sul campo una «soggettività politica», finora
«esercitata solo dalla magistratura». «Mi voglio riconoscere
un minuscolo merito — ha detto il ministro durante l’assemblea romana degli
avvocati svoltasi ieri mattina in Cassazione —: in questi quattro mesi
l’avvocatura ha cessato di essere quella sorta di figlio di un dio minore
che è stata considerata per anni». Ma tant’è. I penalisti
non hanno voluto risparmiare un dispiacere al ministro "amico", «l’unico
con cui c’è stato un raccordo strategico» (Buccico, presidente
del Consiglio nazionale forense) anche se, formalmente, la loro diffidenza
è rivolta più al Parlamento che al Governo.
Lo schiaffo, però, ha fatto meno male del previsto, visto che
la Giunta si è lasciata aperta la possibilità di tornare
ancora sui suoi passi, se «vedrà» che il Ddl sul 513
varato dal Governo ha effettivamente imboccato la corsia preferenziale.
Si tratta, ovviamente, di una decisione di compromesso tra i falchi (le
camere penali del Sud) e le colombe (quelle del Nord). E colomba è
anche Frigo, soddisfatto per l’esito dell’assemblea. «Fosse per me
avrei già deciso — ammette a fine mattinata —. Ma l’ultima parola
spetta alla giunta. E io credo nella collegialità».
La decisione finale ha confermato le previsioni della vigilia, di cui
aveva avuto sentore anche il ministro. «In qualunque trattativa si
può sempre chiedere di più — aveva detto Diliberto durante
l’assemblea — E’ la logica del più uno, come sa bene il sindacato.
Ma per portare avanti le riforme bisogna trovare punti di compromesso,
non fare proclami. Che strappano applausi, ma non leggi dello Stato».
I penalisti, però, non l’hanno seguito. Hanno scelto, per ora, la
logica del «più uno».
Diliberto ha partecipato fino alla fine all’assemblea («E’ una
conferenza — precisa Frigo — non chiamatela assemblea, che sa di sessantotto»)
e con lui hanno sfilato autorevoli esponenti della maggioranza (Leoni,
Ds; Carotti, Ppi) e dell’opposizione (Pecorella e Pera, Fi; Fragalà
e Cola, An) nel tentativo (i primi) di convincere le toghe a deporre le
armi. Impresa ardua per una categoria che si paragona, addirittura, al
popolo curdo, «alla ricerca dei diritti civili» (Ettore Randazzo).
E tuttavia, il clima di ieri è stato ben diverso da quello delle
precedenti assemblee, forse perché a parlare sono stati soprattutto
gli ospiti. Solo quando il microfono passa a Pecorella la platea ha un
sussulto, e lo applaude a più riprese. La prima volta quando l’ex
presidente dei penalisti chiede «perché si fanno i decreti
salvaprocessi e non anche i decreti salvadiritti». Pecorella preannuncia
una dura opposizione al Ddl sul «513» del Governo, secondo
cui le dichiarazioni dei pentiti non confermate in aula non possono avere
valore di prova se riscontrate da dichiarazioni dello stesso tipo. «Con
questa riforma si sancisce per legge — avverte Pecorella — che una mezza
dichiarazione più una dichiarazione fanno una prova. Ma in questo
modo la Cassazione avrà buon gioco a dire che una dichiarazione
confermata non ha bisogno di riscontri». È d’accordo Pera,
che chiede di esaminare contestualmente l’articolo 192 Cpp (proposta ripresa
più tardi da Frigo) ma, al tempo stesso, "apre" alla maggioranza:
«Certo, se alla Camera il super-513 venisse approvato subito, questo
sarebbe un ulteriore segno di disgelo...».
Donatella Stasio
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