Atti
di indagine sorvegliati speciali
da Il Sole 24 ore del 25.1.99
La tecnologia ci spia: le nuove apparecchiature sono invasive con discrezione
e permettono di tenere sotto controllo, a nostra insaputa, ogni spostamento.
Le tracce che lasciamo sono molte di più di quanto si pensi: una
semplice operazione di Bancomat, l’utilizzo della carta di credito, una
telefonate, la Viacard, ogni modulo compilato con i nostri dati. L’incubo
del Grande fratello è stato agitato da ultimo da Franceso Cossiga,
intervenuto sul pericolo dei controlli elettronici, in particolare l’uso
delle microspie e delle intercettazioni (si vedano anche gli articoli sotto).
Sul problema il Garante ha già avuto modo di intervenire con
un parere che prende in esame la diffusione di notizie raccolte dai Carabinieri
e dall’autorità giudiziaria nel corso di un’indagine. A rivolgersi
all’Authority è stato un cittadino che, seppure estraneo all’inchiesta,
ha scoperto il proprio nome fra i documenti, alcuni dei quali pubblicati
da un giornale, acquisiti dai Ros dei Carabinieri. Si trattava di informazioni
raccolte attraverso intercettazioni telefoniche e l’esame delle schede
delle presenze alberghiere.
Il Garante ha chiarito che la legge 675/96 sulla privacy non interferisce
con le indagini, anche se richiede più attenzione nel trattare i
dati personali e «impone di non arrecare pregiudizi ingiustificati
alle persone, specie qualora si tratti di terzi estranei alle vicende giudiziarie».
Circostanza che, invece, si è verificata nel caso esaminato dall’Authority.
Infatti, nei documenti d’indagine figuravano tanto situazioni e relazioni
interpersonali risultanti dalla semplice acquisizione degli atti, sia altre
situazioni che rappresentavano il prodotto di una elaborazione originale
dei magistrati o della polizia giudiziaria, il cui fine è di «porre
autonomamente in luce — ricavandoli dagli atti di indagine — indizi o semplici
legami oppure rapporti ritenuti utili a fini investigativi».
«In entrambi i casi — ha spiegato il Garante — non può ritenersi
giustificata l’inclusione negli elaborati di alcune circostanze non aventi
rilevanza processuale (si pensi ai soggiorni di persone diverse presso
il medesimo albergo, in tempi assai distanti l’una dall’altra) o che, per
il fatto di essere assemblate senza particolari ed evidenti criteri se
non quello riepilogativo, appaiono essere equivoche».
L’equivoco può essere accentuato dal fatto che i documenti di
indagine devono essere depositati nelle forme previste dal codice di procedura
penale — diventano, dunque, pubblici — e dal fatto che contengono anche
riferimenti a persone estranee all’inchiesta. La pubblicità degli
atti, se da un lato rappresenta una garanzia di trasparenza sull’indagine,
dall’altro «espone a gravi pregiudizi i terzi estranei al processo».
Per questo il Garante ha richiamato la polizia e l’autorità giudiziaria
a «un più rigoroso rispetto del principio della pertinenza»,
affermato dall’articolo 9 della legge 675. Principio in base al quale i
dati raccolti devono essere «pertinenti, completi e non eccedenti
rispetto alle finalità per le quali sono raccolti o successivamente
trattati».
A.Che.
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