Giornalisti, quattro ragioni a favore dell'Ordine 

da Il Corriere della sera del 25.7.99

Nel dibattito sulla riforma degli Ordini aperto da Alessandro Penati il 21 luglio, interviene il presidente dei giornalisti lombardi 
Caro direttore, ho letto con interesse l'articolo di Alessandro Penati. Mi ha colpito in particolare una frase: «A volte non si riesce a risalire alle ragioni dell'esistenza di un Ordine: forse quello dei giornalisti è sinonimo di tutela della correttezza dell'informazione?». Mi permetto sommessamente di ricordare che la parola Ordine significa riconoscimento giuridico di una professione, nel caso particolare della professione giornalistica. L'Ordine, inoltre, è la deontologia. Nel caso specifico le «regole» fissate dal legislatore sono il perno, come afferma il nostro contratto di lavoro, dell'autonomia dei giornalisti. I Consigli degli Ordini sono per legge i giudici disciplinari e in questo campo fanno la loro parte, certamente con alti e bassi. Sottolineo l'importanza strategica per una società democratica del nuovo diritto fondamentale dei cittadini all'informazione, costituito dalla Corte Costituzionale sulla base dell'articolo 21 della Costituzione e dell'art. 10 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo (che è legge «italiana» dal 1955). Questo nuovo diritto fondamentale presuppone la presenza e l'attività di giornalisti vincolati a una deontologia specifica e a un giudice disciplinare nonché a un esame di Stato, che ne accerti la preparazione come prevede l'articolo 33 della Costituzione. Le considerazioni e i fatti raccontati consentono di risalire alle ragioni che hanno spinto il Parlamento nel 1963 a tutelare la professione giornalistica. L'eventuale abrogazione della legge n. 69/1963 sull'ordinamento della professione giornalistica comporterà questi rischi: 
1) quella dei giornalisti non sarà più una professione intellettuale riconosciuta e tutelata dalla legge. 
2) risulterà abolita l'etica professionale fissata nell'articolo 2 della legge professionale n.69/1963. 
3) senza la legge n.69/1963, cadrà per giornalisti (ed editori) la norma che impone il rispetto del «segreto professionale sulla fonte delle notizie». Nessuno in futuro darà una notizia ai giornalisti privati dello scudo del segreto professionale. 
4) senza legge professionale, direttori e redattori saranno degli impiegati di redazione vincolati soltanto da un articolo (2105) del Codice Civile che riguarda gli obblighi di fedeltà verso l'azienda. Il direttore non sarà giuridicamente nelle condizioni di garantire l'autonomia della sua redazione. 
Governo e Parlamento devono preoccuparsi di riformare le leggi sugli ordini e i collegi nonché di tutelare i saperi dei professionisti. Gli ordini e i collegi possono sopravvivere occupandosi esclusivamente di deontologia e formazione. Gli esami per l'accesso devono, invece, essere delegati a un altro soggetto (l'Università) anche per garantire il rispetto del principio costituzionale dell'imparzialità. Non possono essere i giornalisti a giudicare chi debba entrare nella cittadella della professione. Lo stesso discorso vale per gli avvocati e per le altre professioni regolamentate. Questa è una procedura già in vigore per le professioni tecniche. + condivisibile, infatti, quella parte del decreto legislativo sul riordino dei ministeri che affida l'accesso alle professioni - e quindi anche della professione giornalistica - all'Università. 
Franco Abruzzo, Presidente dell'Ordine Giornalisti della Lombardia,