Dov'é
finita la proposta Flick?
da La Gazzetta del Sud del 25.3.99
Giuseppe Nàccari *
Il fondatore della scuola di diritto puro, Hans Kelsen, ritenuto
il massimo teorico moderno dello stato di diritto, ha fatto un'osservazione
dettata dal buon senso. «Negli stati moderni – ha osservato – le
leggi vengono fatte dal parlamento, e cioè dagli eletti del popolo;
ciò non vuol dire che le leggi approvate siano effettivamente volute,
in quanto spesso, se non sempre, un numero rilevante dei rappresentanti
del popolo votano per un disegno di legge del quale magari hanno una conoscenza
molto approssimativa». L'affermazione di Kelsen credo debba essere
aggiornata per quanto riguarda il nostro paese: «Il voto quasi sempre
viene espresso per schieramenti, per cui spesso è espresso su materia
o oggetto che non si conosce. A volte avviene che tra le esigenze che hanno
indotto il legislatore a emanare una normativa e il suo tempo di applicazione
o lungo il suo corso, non solo le circostanze ma anche gli umori della
gente cambino». Il caso delle norme sui pentiti è emblematico.
Dal 1991 ha oggi molte cose sono mutate e molte incongruenze e discrasie
la legge ha manifestato, tanto che il precedente ministro di Grazia e Giustizia,
Flick, aveva avanzato una proposta per modificarla, ma questa giace in
Parlamento da due anni e non si ha più notizia se e quando sarà
portata all'esame delle due Camere. V i è stato nel campo del pentitismo
una forma degenerativa sia nell'utilizzo delle dichiarazioni e sia nei
privilegi accordati che lasciano, a dir poco, sbigottiti. Su questo giornale
ho più volte affrontato il problema, che però rimane inalterato
nelle sue degenerazioni. Alla conoscenza del pubblico sono arrivate due
notizie certamente non edificanti per uno stato di diritto. La prima è
stata rilevata da «Il Velino» e poi ripresa da tutti gli altri
mezzi d'informazione: il “pentito” Francesco Marino Mannoia ha ottenuto
un “prestito” di 300 milioni da restituire (se lo vorrà) in 35 anni
a tasso zero, cioè senza interessi. Ogni commento è superfluo.
Questo prestito si aggiunge al normale stipendio (7 milioni al mese!) che
il boss riceve dallo Stato italiano fin dal 1988, accreditato su una banca
americana. In un primo momento la richiesta del prestito non era stata
accolta, ma la Commissione addetta alla gestione dei pentiti si è
poi convinta ad aderire alla richiesta perché il “pentito” aveva
rifiutato, in seguito al diniego, di presentarsi quale testimone in due
processi. Si è trattato di una forma di pressione psicologica o
di una forma di estorsione? Non è facile stabilirlo. Fatto sta che
dopo il prestito, il “juke-box Mannoia” ha ripreso a funzionare. L'altra
notizia, emblematica, è di questi giorni: la Corte di Cassazione
ha dichiarato inattendibile Giovanni Brusca. Chi mi legge spesso, ricorderà
che più volte ho avuto occasione di parlare di questo boss mafioso,
considerato una belva, un sanguinario, i cui delitti (tra gli altri lo
strangolamento del piccolo De Matteo, sciolto poi nell'acido) avevano suscitato
sdegno e raccapriccio. A l momento della cattura Brusca si è reso
conto che le porte del carcere si stavano definitivamente chiudendo alle
sue spalle; ma le vie del pentitismo sono infinite ed egli le ha percorse
tutte, iniziando con la qualifica di «dichiarante in evoluzione»
(il neologismo è dei magistrati). Il «tirocinio» di
Brusca è durato a lungo facendo riempire migliaia di pagine fino
a quando egli non ha fatto le dichiarazioni giuste contro personaggi giusti
per essere promosso a pentito. Ma la sua promozione è durata poco
perché la Cassazione l'ha bocciato senza appello, implicitamente
bocciando anche la decisione della Commissione nazionale, sollecitata dai
pubblici ministeri, di farlo accedere al servizio protezione. Il Supremo
Collegio è stato pesante con Brusca. Il pentito potrebbe accusarsi
e accusare – ha detto la Cassazione – «giacché il suo futuro
è nel suo contributo alla giustizia», in buona sostanza, i
giudici di legittimità hanno avanzato il sospetto che il pentito
possa attribuire alla propria responsabilià o a quella di Totò
Riina delitti commessi da altri, al solo fine di accrescere l'importanza
della propria collaborazione; a tal punto – aggiungono i giudici – che
egli dice di aver commesso un delitto assieme a due sicari, che si era
portato dietro da Castelvetrano, dei quali stranamente non ricordava più
i nomi. I motivi di perplessità della Cassazione potrebbero essere
trasferiti a molti altri «pentiti», i quali dopo anni di collaborazione
si sono improvvisamente «ricordati» di fatti e di circostanze
che interessano grandi processi in corso, che si trascinano stancamente
da anni nell'ormai disinteresse generale. Questi episodi sono inquietanti
e dovrebbero spingere i parlamentari a tirar fuori la proposta Flick tendente
a correggere le presunte degenerazioni dell'applicazione della legge sul
pentitismo. * Magistrato onorario di Cassazione
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