Scalfaro,
la sfida riforme nell’ultimo anno
da Il Corriere della sera del 25.5.98
Elia e Salvi lo promuovono. Caianiello lo critica sulla giustizia. Martino:
ha dato un duro colpo al bipolarismo
R. Zuc.,
ROMA - Comincia oggi, per Oscar Luigi Scalfaro, l’ultimo anno al Quirinale.
È possibile tracciare un bilancio? Molte, in
questi sei anni di mandato già trascorso, sono state le polemiche
che hanno accompagnato le scelte del Colle. Come
quella di non sciogliere le Camere quando la Lega fece il ribaltone
ai danni del governo Berlusconi. O come le recenti
prese di posizione sulla giustizia. Esternazioni che hanno diviso,
in modo trasversale, politici e costituzionalisti. Ma molti
oggi sottolineano che, nel bene o nel male, si è trattato di
scelte difficili perché operate negli anni cruciali di una
transizione ancora incompiuta, quella tra la Prima e la Seconda Repubblica.
Con i giochi della Bicamerale ancora aperti e
con l’ipotesi di una proroga del mandato presidenziale.
«La sua presidenza è stata una delle componenti che hanno
consentito all’Italia di uscire dal baratro e di aprire una fase
di transizione e di rinnovamento», dice il presidente dei senatori
Ds, Cesare Salvi. Che ricorda l’elezione di Scalfaro
anche come uno scampato pericolo: «Nella primavera del ‘92 la
gara era tra Andreotti e Forlani, con la nomina quasi
scontata di Craxi a Palazzo Chigi. Invece venne eletto Scalfaro e la
sua prima decisione fu quella di scegliere Amato
come presidente del Consiglio. Che cosa sarebbe successo se nel pieno
della crisi morale, politica e finanziaria di
Tangentopoli avessimo avuto ai vertici dello Stato due tra i politici
che componevano il terzetto del celebre Caf». Anche
per Leopoldo Elia il bilancio è più che positivo. «Scalfaro
- afferma l’ex presidente della Corte Costituzionale, ora
capogruppo del Ppi al Senato - è stato il motore di riserva
nei momenti in cui è mancata una chiara maggioranza politica.
Penso ai governi affidati a Ciampi e a Dini: è infondata la
critica di chi sosteneva che, una volta chiusa l’esperienza del
governo Berlusconi, si dovesse andare per forza alle urne». E
gli interventi in tema di giustizia? «Non dimentichiamo che il
capo dello Stato è anche presidente del Consiglio superiore
della magistratura. E poi sarebbe stato assurdo non dire
niente perché nel frattempo la materia era diventata e lo è
ancora una delle più scottanti sullo scenario politico e
istituzionale». Invece, secondo l’ex presidente della Consulta,
Vincenzo Caianiello, è proprio sulla giustizia che Scalfaro
ha commesso errori: «Da una parte ha condannato il “tintinnar
di manette”, dall’altra ha preso le difese dell’Associazione
nazionale magistrati: sono rimasto sconcertato quando l’ho visto, in
un’assemblea, sottoscrivere parola dopo parola ciò
che sosteneva il leader dell’Anm, Elena Paciotti. Come se la magistratura
fosse tutta rappresentata dal suo sindacato».
Caianiello critica anche «l’eccessiva fretta» che ebbe
il Presidente nello sciogliere il Parlamento quando era in carica
Ciampi: «Cedette alle pressioni di Occhetto». Ma su tutto
il resto il verdetto è positivo. Perché Caianiello riconosce
le
«difficoltà oggettive» in cui Scalfaro ha operato:
«È stata una presidenza forte, adatta al delicato momento
di transizione
tra la Prima e Seconda Repubblica».
Un giudizio più severo viene da Antonio Martino. Prima di tutto
ricorda che in questi giorni si celebra anche l’anniversario
di un altro presidente, il cinquantenario di Luigi Einaudi, per far
capire quale resta il suo ideale. Detto questo, l’ex
responsabile della Farnesina nel governo Berlusconi punta il dito sulla
politica estera di Scalfaro: «Ricordo ancora con
raccapriccio un suo intervento all’Onu, le critiche che avanzò
in quella sede: in Italia è il governo e non il capo dello Stato
a poter prendere posizione su questioni internazionali». Senza
dimenticare il «grave errore» di non avere sciolto le
Camere dopo il ribaltone della Lega: «Diede un duro colpo alle
speranze del bipolarismo in Italia». Commento ingiusto,
per il senatore ds Giovanni Pellegrino: «In sei anni abbiamo
già votato tre volte: nel ‘92, ‘94 e ‘96. Troppe. Il presidente
ha giustamente posto un argine al continuo, controproducente, ricorso
alle urne».
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