Intervista
al presidente della Corte d’Appello Giosuè Barone che difende la
produttività dei colleghi. Napoli a tappe forzate verso la paralisi
da Il Sole 24 ore del 25.5.98
«La riforma radicale del processo è data dalla motivazione
differita della sentenza»
Lavorano poco i giudici napoletani? Giosuè Barone, presidente
della
Corte d’Appello, dice di no e precisa: «Ogni giudice emette in
media 120
sentenze all’anno con punte anche maggiori. Bisogna considerare che
i
magistrati hanno 45 giorni di ferie all’anno. In verità 15 dei
45 giorni
devono essere spesi per scrivere i provvedimenti decisi prima delle
ferie.
Al 30 giugno 1997 gli organici complessivi del distretto (per i comparti
penale e civile) erano sotto di 260 magistrati. Mancano 600 impiegati
e
assistenti. I buchi sono vistosi».
Le colpe, secondo Barone, ricadono anche sulle procedure macchinose:
«I giudici devono consegnare le minute delle sentenze al presidente,
che
deve leggerle. Poi le ribattono le segretarie. Normalmente il termine
dei
60 giorni per il deposito delle sentenze viene rispettato». I
magistrati più
giovani scrivono le decisioni direttamente sul computer. «La
pratica del
computer sta prendendo piede, ma i più anziani non possono essere
costretti a usare il computer». In sostanza molti magistrati
lavorano
come 50 anni fa.
Il procuratore generale Ferdinando Zucconi Galli Fonseca, nella relazione
del gennaio 1997 in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario
della Cassazione, si è detto favorevole ai controlli di professionalità
sui
magistrati. Altri, invece, chiedono controlli del Csm sulla produttività
dei
giudici. «I controlli già esistono — dice Barone —. Noi
teniamo d’occhio
gli indici statistici e da questi si capisce se un giudice lavora e
se è
puntuale nel deposito delle sentenze». A Napoli nessun magistrato
ha
avuto noie con il Consiglio giudiziario o con il Csm per scarso
rendimento. «Bisogna comprendere — spiega Barone — che un giudice
può ritardare un deposito perché si deve occupare di
altri processi
complessi o perché ha un carico di cause in itinere molto cospicuo».
Barone sdrammatizza la situazione: «I ritardi di Napoli sono
uguali a
quelli registrati in altri distretti di Corte d’Appello. Tutti gli
occhi, però,
sono puntati sul penale, perché il penale fa più notizia».
Eppure,
secondo gli avvocati, Barone sa di essere seduto su un vulcano a rischio
di implosione.
Anche a Napoli il processo civile è in forte crisi e ciò
rende
estremamente difficile per i cittadini la tutela dei diritti. Anche
a Napoli le
imprese ricorrono sempre più spesso all’arbitrato per risolvere
in tempi
rapidi problemi e controversie. Barone riferisce impressioni, non ha
numeri al riguardo. «In verità a Napoli e nel Sud — osserva
Barone — la
gente è più litigiosa. Il temperamento dei napoletani
è quello che è.
L’individualismo è anche un male antico. Giocano, inoltre, motivi
personali, familiari, di clan. Manca la mediazione. Si va dall’avvocato
con
tanta facilità. Va detto che la disoccupazione di massa da una
parte
alimenta la delinquenza e dall’altra ingolfa i Palazzi di Giustizia.
Per
tanti soggetti il ricorso al giudice è un modo per procurarsi
una risorsa
economica a breve, medio e lungo periodo. Sui processi si può
anche
“campare”. Si specula sugli incidenti stradali, veri o presunti, e
gli
incidenti stradali partoriscono cause a raffica. Anche il calcolo della
misura dell’indennità di disoccupazione, dopo una sentenza della
Corte
costituzionale, è fonte di liti tra cittadini e Stato. Ogni
anno vengono
iscritte a ruolo nei registri del tribunale di Napoli 25mila cause
(2mila al
mese contro le 3mila d’un tempo), mentre solo 4mila in quelli della
Corte
d’Appello. Lo scarto tra il primo e il secondo grado del giudizio è
significativo: le sentenze di primo grado oggi sono esecutive e quindi
le
cause vengono per lo più abbandonate da chi perde il round iniziale.
Anche a Napoli i tempi di un procedimento di esecuzione sono di 3-5
anni e rispecchiano, quindi, la media nazionale. Le cause di cognizione
ordinaria tra tribunale di Napoli e Corte d’Appello durano almeno sei
anni
nei casi più semplici».
È allarmante, invece, la situazione del tribunale di Santa Maria
Capua
Vetere ove pendono 35mila cause con un carico per magistrato di 2.500.
Così, chiuse le istruttorie, i rinvii al collegio per la decisione
vengono
fissati a una distanza temporale media di oltre sei anni.
La Commissione tecnica per la spesa pubblica pensa di sveltire l’iter
del
processo civile addossando a chi perde una causa tutte le spese che
oggi spesso vengono compensate, mentre l’avvocato che chiude in un
anno una causa dovrebbe avere la parcella raddoppiata. «Queste
misure
? dice Barone — non tengono conto della realtà. I clienti spingono
i loro avvocati ad allungare i tempi del processo civile, perché
sperano di trovare una soluzione con il passare degli anni. La compensazione
delle spese è una misura di giustizia, quando l’impianto della cause
da parte di chi soccombe risponde oggettivamente a esigenze non defatigatorie».
I rimedi sono l’articolo 186-ter e quater, che consente, in corso di causa,
al giudice di ordinare, in via cautelare o anticipatoria, una ingiunzione
di pagamento o di disporre il pagamento di somme ola consegna o il rilascio
di beni. «D’accordo — dice Barone — il sistema consente di ottenere
una tutela anticipata rispetto alla definitività dell’accertamento.
Ma se le parti, come accade a Napoli, non utilizzano l’articolo 186, allora
i tempi slittano di anni».
Il procuratore generale Renato Golia ha sostenuto, in occasione
dell’inaugurazione dell’anno giudiziario 1998, che «una moltiplicazione
delle decisioni dei giudici e la tanto auspicata pronta risposta alla
domanda di giustizia possono passare solo attraverso una riforma
radicale, quale quella della motivazione della sentenza differita e
condizionata all’avvenuta proposizione dell’impugnazione». Questa
proposta si scontra con l’articolo 111 della Costituzione secondo il
quale
«tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati».
Barone è
sulla linea di Golia: «È tempo di riforma della Costituzione
e anche
l’articolo 111 può cambiare. Il giudice renderebbe noto soltanto
il
dispositivo. Siamo bloccati da un garantismo distorto, che porta al
formalismo. Bisogna dire anche che la motivazione non può diventare
un’opera letteraria. La stesura di una sentenza non può bloccare,
contro
ogni ragionevole logica, il corso della giustizia».
I giudici di pace napoletani sono 67. Hanno trovato una sede. «È
troppo
presto per valutarli sul terreno dei fatti» dice Barone. Per
Golia
l’esperimento è “deludente”. Anche sulle sezioni stralcio, Barone
è
prudente. I 50 giudici aggregati sono stati selezionati, ma è
difficile
ipotizzare che 50 persone possano esaurire migliaia e migliaia di cause
accumulatesi fino all’aprile 1995. Solo il contenzioso civile (di vecchio
rito) del tribunale di Napoli ammonta a 40mila cause. Barone, invece,
ripone molte speranze sul giudice unico di primo grado. La produttività
dovrebbe aumentare di molto. «Teoricamente — dice Barone — al
posto
di una sentenza se ne dovrebbero decidere tre. L’appuntamento del
primo luglio 1999 va preparato con cura. É vero che qui c’è
una mina: i
ritardi nel processo civile possono essere vissuti come un torto inflitto
al
cittadino da parte dello Stato. Qualcuno parla, forse esagerando, di
denegata giustizia. La reazione può portare il cittadino che
pensa di aver
subito il torto a imboccare la via della illegalità criminale.
In fondo si crea
una spirale perversa, che spetta a Governo e Parlamento spezzare
dando strutture, mezzi e uomini alla giustizia napoletana».
Franco Abruzzo
|