Riprende a giugno alla Camera l’esame degli articoli che disegnano la nuova forma dello Stato

da Il Sole 24 ore del 25.5.98

La via italiana al federalismo passa per nove articoli che disegnano uno
Stato più leggero, in cui molte delle attuali competenze legislative
diventano appannaggio esclusivo delle Regioni che, se lo vorranno,
potranno conquistare abbastanza semplicemente (con una legge
ordinaria) anche dosi più massicce di autonomia.
Non sono di poco conto le novità introdotte finora dalla Camera nel
capitolo della riforma costituzionale dedicato a Comuni, Province, Città
metropolitane, Regioni e Stato. Con una significativa inversione rispetto
alla Costituzione vigente dove la parte sull’ordinamento della Repubblica
si apre con gli articoli sul Parlamento poi, nell’ordine, quelli sul
presidente della Repubblica, sul Governo, sulla magistratura, sulle
autonomie territoriali e sulle garanzie costituzionali. Una successione
non casuale, allora come ora: nel ’48 i padri costituenti vollero
sottolineare che il Parlamento doveva essere il luogo istituzionale a
partire dal quale delineare l’organizzazione della Repubblica;
cinquant’anni dopo, i neocostituenti decidono di dare alle autonomie
territoriali la precedenza. 
Una riforma in cui, per usare uno slogan caro al presidente della
Bicamerale D’Alema, il cittadino conterà di più: grazie a un
riconoscimento più esplicito della sussidiarietà, le funzioni pubbliche
sono ripartite tra i diversi livelli di governo privilegiando l’ente territoriale
minore, mentre l’intervento pubblico è comunque limitato rispetto
all’autonomia dei privati e alle formazioni sociali. Limitazione che non
vuol dire priorità assoluta del privato, come chiedeva Forza Italia. 
A parte il principio di sussidiarità, le votazioni sul federalismo sono volate
via abbastanza rapidamente, poiché Centrodestra e Centrosinistra hanno
trovato quasi subito un accordo su punti importanti della riforma, come
l’autonomia speciale delle Regioni e il Senato Federale. Tuttavia, dei
nove articoli sul federalismo italiano, resta da approvare ancora il 62, sul
federalismo fiscale, che disciplina l’autonomia finanziaria delle Regioni,
dando così concretezza alla prospettiva di autonomia. Così come resta
ancora da definire il ruolo e la composizione del Senato che, stando
all’accordo finora raggiunto in Bicamerale, dovrebbe essere a tutti gli
effetti un Senato federale, pur svolgendo anche funzioni di garanzia.
Quell’accordo si dovrà tradurre, nelle prossime settimane, in un articolo
da votare nel mese di giugno, quando l’Assemblea di Montecitorio
passerà a esaminare la parte sul Parlamento. E, in base ad esso, il
Senato dovrà essere eletto contestualmente ai consigli regionali a
suffragio universale diretto con un sistema proporzionale, su base
regionale. Dovrà avere una competenza esclusiva nelle materie fiscali
(oggetto quindi di leggi monocamerali) e congiunta invece alla Camera
nelle materie riguardanti diritti fondamentali oppure leggi costituzionali.
Restano ancora da definire il collegamento tra elezione dei senatori e
autonomie diverse dalle Regioni, la ripartizione dei seggi tra le Regioni e
il numero dei senatori (la Commissione ha escluso che vi debba essere
una proporzionalità assoluta tra il numero di eletti in una Regione e il
numero dei suoi abitanti). 
In attesa che questi due importanti nodi siano sciolti, la nuova
Repubblica (che avrà Roma come capitale) non si identificherà più con lo
Stato ma sarà composta, alla pari, da Stato, Comuni, Città
metropolitane, Province e Regioni; lo Stato non potrà esercitare alcun
controllo preventivo sugli atti di Comuni, Province, Città metropolitane e
Regioni e a quest’ultime dovrà demandare gran parte delle sue
competenze legislative tenendone soltanto 10 (per esempio giustizia,
difesa, politica estera) mentre su altre 11 (tra cui l’istruzione e
l’università) dovrà limitarsi a fissare linee generali. Le stesse Regioni
potranno conquistare forme speciali di autonomie mediante una legge
ordinaria approvata d’intesa col Parlamento e poi sottoposta a
referendum regionale. Il Governo potrà sostituirsi alle Regioni solo nei
casi di pericolo per l’incolumità e la sicurezza pubblica. Per il resto, ogni
Regione approverà autonomamente un proprio Statuto di autogoverno,
potrà stringere accordi con organismi equivalenti di altri Stati. E i
cittadini eleggeranno, oltre al consiglio regionale, anche i rappresentanti
della propria Regione nel Senato federale.
Donatella Stasio