L’allarme di Letta: in FI prevale chi vuol far saltare le riforme 
  
da Il Messaggero del 25.5.98

di MARCO CONTI 
ROMA - Aspettano i risultati del voto gli sherpa dell’Ulivo prima di sventolare sotto il naso del Cavaliere qualche ulteriore concessione in tema di poteri del presidente. I margini sono ristrettissimi. Con i popolari saldamente a guardia del testo votato in Bicamerale, gli spazi di manovra per i diessini sono ridotti a qualche piccola concessione in materia di politica estera e di difesa. 
Troppo poco per Forza Italia che di «un presidente taglia nastri» non ne vuole sentir parlare e che ormai sembra orientata a dire ”no” a delle riforme che secondo loro peggiorano l’assetto costituzionale creando un pericoloso sistema bicefalo. 
«Stavolta il presidente è ben deciso a far saltare tutto», assicurano i suoi quasi a voler scongiurare un possibile cambio di umore del Cavaliere. Ma è indubbio che i risultati elettorali contribuiranno a rafforzare la convinzione pessimista di Berlusconi qualora si dovessero rafforzare le forze centriste fuori dal Polo (Udr e Lega). Oppure un andamento positivo del Polo e di Forza Italia potrebbe 
diventare uno degli argomenti che Casini e Fini useranno domani per dimostrare al Cavaliere che paga più un atteggiamento responsabile e costituente piuttosto che posizioni barricadere. 
Dentro Forza Italia i giochi si danno quasi per fatti anche perchè l’anima più presidenzialista è da sempre tenacemente convinta che il testo uscito dalla Bicamerale sia largamente insufficiente e varato in quella formulazione solo per recuperare i popolari. 
Preoccupato per la piega che stanno prendendo gli eventi è Gianni Letta, il più ascoltato e discreto consigliere del Cavaliere: «Ho l’impressione che dentro Forza Italia stia prevalendo chi vuol far saltare il tavolo». «Siamo a questo punto perchè la Quercia, e parte di An, hanno sottovalutato il merito. Una cosa agghiacciante che ha prodotto sinora un mostro costituzionale», commenta 
sconsolato l’azzurro Giorgio Rebuffa. 
Comunque non resta che attendere le prossime ore per sapere da che parte spira il vento delle riforme o se D’Alema, stavolta, è costretto ad abbassare la vela. Il primo e più importante appuntamento è martedì mattina quando il comitato ristretto della commissione Giustizia del Senato verificherà se c’è ancora la possibilità di modificare la legge che regola l’elezione del Csm. «Sul 
merito l’intesa sarebbe possibile, ma da una parte e dall’altra si vuole dire sì solo se c’è un accordo globale sulla giustizia, e questo significa non far nulla». Il pessimismo di Ortensio Zecchino parte dal Csm per arrivare all’intero lavoro uscito dalla Bicamerale. 
L’indice del presidente della commissione Giustizia si punta anche contro la Quercia, colpevole di «aver assunto delle posizioni che hanno accentuato la difficoltà». 
Stavolta però i popolari non hanno nessuna intenzione di fare da agnelli sacrificali e ”mollare” qualcosa sui poteri del capo dello Stato affinchè i Ds, tramite An, possano spuntare il ”sì” degli azzurri. Le difficoltà che il Ppi ha nella maggioranza sui problemi etici (scuola, aborto, bioetica) sconsigliano altri cedimenti. E’ per questo che i popolari ricordano di continua al loro principale alleato «che in Bicamerale si turarono il naso e votarono l’elezione diretta del presidente della Repubblica, in vista di un accordo globale che salta se viene messo in discussione la ben che minima virgola». 
Di fronte alla ”rigidità” del Ppi, e alle ”esose” richieste di Berlusconi, sembra inevitabile che dopodomani, sui poteri del presidente della Repubblica, ogni schieramento voterà i propri emendamenti e boccerà quelli degli altri. An sarà costretta a seguire Forza Italia e vedersi respinte dalla maggioranza - complice anche la Lega - tutte le richieste di ampliamento dei poteri del capo dello Stato. E, salvo novità delle prossime ore, anche il voto finale seguirà lo stesso iter e l’articolo 70 verrà approvato a colpi di maggioranza. A questo punto non resterà da vedere se ha preso piede la tentazione, che in queste ore albeggia a sinistra, di andare avanti comunque, convinti che alla fine il ”no” di Fini sia «politicamente recuperabile». 
«Ma certo, non succede nulla di drammatico. Eppoi qui ci si dimentica che al referendum confermativo mancano due anni e che occorrono altri cinque passaggi parlamentari». Il verde Maurizio Pieroni è il più ottimista e va annoverato tra coloro i quali ritengono difficile un colpo di testa del Cavaliere. «Il problema è che si sottovaluta da troppe parti il referendum confermativo», ammonisce Rebuffa. Mentre il professor azzurro Marcello Pera non vuol neppure sentir parlare di questa eventualità. «Andare avanti nelle riforme 
senza il Polo è un’assurdità. D’Alema chiese i voti del centrodestra per essere eletto presidente proprio per dare il senso di una riforma che doveva essere di tutti. Le riforme a colpi di maggioranza non si fanno». 
E così l’ultimo anno del settennato di Oscar Luigi Scalfaro non sembra avviarsi sotto i migliori auspici per una parlamento che doveva essere costituente.