Diliberto, scudo ai pm
da La Repubblica del 25.10.99
di SILVIO BUZZANCA
ROMA -"Fino a che sarò al ministero della Giustizia mi batterò
con forza, con convinzione, per garantire l'indipendenza dei magistrati".
Le polemiche intorno alla sentenza palermitana su Giulio Andreotti sono
tante, e tanto violente, che Oliviero Diliberto rompe il silenzio e scende
i campo in difesa di giudici e pm. Parla per ricordare a tutti che ha giurato
di difendere un "modello costituzionale che si basa sulla rigorosa divisione
dei poteri".
Per questo il ministro invita i suoi colleghi, che da anni si combattono
alacremente sul nodo giustizia, ad evitare di affrontare "la giurisdizione
in una logica agonistica, per cui ad ogni sentenza si stabilisce chi ha
vinto e chi ha perso". Ma ricorda anche ai magistrati che "la politica
è l'unica ad avere legittimazione democratica a fare le leggi".
Il Guardasigilli dice queste cose davanti alla platea del convegno
di Sorrento dell'Associazione nazionale magistrati su "Dialettica e contraddittorio
nel processo penale. A 10 anni della riforma". E davanti a toghe, avvocati
e politici, interessati e divisi sull'interpretazione del verdetto palermitano,
il ministro spiega che "non giovano le strumentalizzazioni delle sentenze
in un senso o nell'altro". Riferendosi proprio al caso Andreotti, il ministro
della Giustizia dice: "Alla luce di questa sentenza, che io non commento
come non ho mai commentato le sentenze, ci possono essere anche tentativi
di aggredire l'indipendenza della magistratura".
Ecco spiegata la sortita del Guardasigilli, convinto che la campagna
sulla sentenza Andreotti "non aiuta nessuno". Ecco spiegato il suo tentativo,
"con molto equilibrio, di ribadire i principi della Costituzione, e cioè
che le sentenze provengono da un ordine indipendente, che questa indipendenza
della magistratura serve a tutti, non solo ai magistrati: serve ai cittadini
italiani". Il ministro, come fa da tempo, tenta di riportare il confronto
sul terreno del merito e anche ieri ha lanciato un appello a mettere da
parte "ogni giacobinismo", unico modo di "affrontare e risolvere i problemi".
Polemiche e contrati che però continuano a crescere. Soprattuto
sull'uso dei pentiti, "strumento essenziale", per Diliberto. Uso difeso
dal procuratore di Napoli, Agostino Cordova. "Sono stati preziosi - dice
Cordova - nella sconvolgimento dell'assetto mafioso-camorristico, hanno
riferito fatti che conoscevamo dall'interno e che mai avremmo potuto accertare".
Certo, conclude Cordova, i fatti "vanno rigorosamente vagliati per evitare
che involantariamente si commettano errori". Chi invece insiste per una
nuova normativa sui pentiti è Alfredo Mantovano. Il responsabile
Giustizia di An dice anche il processo Andreotti era sbagliato per la confusione
che si era creata fra responsabiltà personale e politica di Andreotti
e dei leader dc. Ma ora sarebbe altrettanto errata "la beatificazione storica
e politica del gruppo dirigente, e un primis quella dell'ex presidente
del Consiglio".
Questioni molto discusse a Sorrento dai magistrati. Magistrati che
hanno appreso che il Csm ha deciso di riammettere a funzioni e stipendio
Claudio Vitalone e Corrado Carnevale. Pm e giudici però non danno
una lettura univoca della sentenza Andreotti. "Enfatizzando l'importanza
del processo Andreotti si sta ripetendo lo stesso errore commesso ai tempi
del maxiprocesso", dice Antonio Ingroia, pm del processo a Marcello Dell'Utri.
Allora, dice il pm, si pensò che con quel processo si fosse sconfitta
la mafia. Per il pm Giuseppe Fici, segretario della sezione di Palermo
dell'Anm, "quello ad Andreotti non è stato un processo inventato".
Echi delle divisioni di Sorrento, dove il presidente Antonio Martone aveva
polemizzato con il segretario Mario Cicala. Martone aveva chiesto a giudici
e pm una riflessione autocritica su indagini e processi come quello Andreotti.
Riflessione che dovrebbe sfociare in un congresso dell'Anm. Cicala ha replicato
che il congresso è stato già convocato per il 2000, che il
processo è stato "trasparente" e il verdetto emesso da un giudice
terzo, e che dunque non vede la necessità di un congresso dell'Anm
"incentrato su singole vicende processuali". l
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