Mafia, pentiti sotto tiro più di mille quelli protetti 

da La Repubblica del 25.10.99 

PALERMO - Sotto accusa, sono i pentiti di mafia. L'assoluzione "eccellente" - comunque saranno le motivazioni della sentenza Andreotti tra 90 giorni - si è trasformata in un verdetto di condanna per i collaboratori di giustizia. Che fine faranno adesso i 1.148 pentiti inseriti nel programma di protezione del ministero degli Interni? Quale sarà la loro sorte nei prossimi mesi? Come saranno valutate in futuro - in altri dibattimenti sulla criminalità organizzata - le dichiarazioni di quei 38 collaboratori testi di accusa a Palermo? Due giorni dopo la sentenza Andreotti, il "caso" è più aperto che mai.
Le motivazioni spiegheranno se il Tribunale non ha creduto ai pentiti, o se al contrario ha creduto a molti di loro pur non trovando riscontri. In ogni caso, è stato un duro colpo alla credibilità generale dei collaboratori dopo l'esito del processo più importante fondato sull'intreccio mafia-politica.
Su questo incandescente fronte si registrano in Sicilia, poche prese di posizione. Una è quella del sostituto procuratore della Repubblica Antonio Ingroia, uno dei collaboratori più stretti del suo ex capo Gian Carlo Caselli. Dice Ingroia: "Al di là delle motivazioni della sentenza - del processo Andreotti preferisco non parlare - l'impressione che abbiamo in Procura è che questa sentenza come altre siano interpretate dai collaboratori come un atto di sfiducia nei loro confronti". E aggiunge Antonio Ingroia: "La sensazione che ne ricavano è probabilmente quella che si sia tornati a prima dell'estate 1992". E cioè che di tutto si può parlare, tranne che di mafia e politica.
Della necessità e dell'urgenza di una nuova legge sui collaboratori, "perché sono uno strumento indispensabile per la lotta alle cosche mafiose", parla per la prima volta il neoquestore di Palermo Tuccio Pappalardo. Il capo dei poliziotti di Palermo nel marzo del 1993 - quando iniziarono le indagini sul senatore a vita Giulio Andreotti - era il direttore della Dia nel capoluogo siciliano. Il procuratore Gian Carlo Caselli consegnò proprio nelle sue mani la prima delega di indagine sull'ex Presidente del Consiglio.
E mentre monta il dibattito sui collaboratori di giustizia, gli addetti ai lavori fanno notare che oramai da molto tempo, quaggiù in Sicilia, i boss non "parlano" più. Non c'è un mafioso di spessore che è diventato collaboratore di giustizia da più di due anni. L'ultimo pentito di un certo livello è stato Angelo Siino, l'ex "ministro dei Lavori Pubblici" di Totò Riina. Siino decise di iniziare a collaborare nel luglio del 1977.