Controllo politico sulle "cimici" 

da La Repubblica del 26.2.99

ROMA (l.mi.) - Nuova "offensiva" contro la possibilità, per i magistrati, di utilizzare le intercettazioni telefoniche e ambientali nelle inchieste. Mentre - fra numerose polemiche - è ancora in discussione alla Camera un disegno di legge che ne limita fortemente l' uso, ieri è toccato alla commissione Antimafia proporre, se pure in una bozza di relazione, un'ulteriore stretta. Due i punti di maggiore rilievo in un testo che è già il frutto di quello che è stato definito "un compromesso tra maggioranza e opposizione". In questo "compromesso" si chiede che i magistrati abbiano l'obbligo di fornire al ministro di Grazia e Giustizia l'elenco dei decreti di intercettazione richiesti, con tanto di motivazioni e di durata. In pratica, tutte le intercettazioni debbono diventare di pubblico dominio. Non solo: il ministro Guardasigilli dovrebbe, a sua volta, essere tenuto a presentare una relazione annuale al Parlamento su tutte le intercettazioni richieste in Italia dall'autorità giudiziaria. 
Ma la commissione Antimafia vuole di più. Il due parlamentari che hanno steso la relazione - Salvatore Giacalone (Ppi) e Tiziana Maiolo (Fi) - chiedono che "l'uso delle intercettazioni venga limitato ai casi in cui sia effettivamente documentata la possibilità che l'ascolto di un'utenza per un ben determinato periodo di tempo, possa essere essenziale e insostituibilie strumento di acquisizione della prova materiale di un fatto determinato". In altre parole, il pm dovrebbe sapere, ancora prima di mettere un telefono sotto controllo, per quale fatto specifico lo sta facendo. E se l'intercettazione non possa essere sostituita da alcun altro mezzo di prova. 
È evidente che l'Antimafia dà un giudizio critico di uno strumento che - vale la pena di ricordarlo - ha consentito di ottenere eccezionali risultati investigativi. Oggi non conosceremmo gli autori della strage di Capaci se, durante un'intercettazione telefonica, i due mafiosi Nino Gioè e Gino La Barbera non avessero detto: "Unni ci ficimu l'attentatuni", con un riferimento chiarissimo all'attentatone, cioè all'esplosivo di Capaci. Ma l'Antimafia parla di "abuso" e di "un generico strumento di ricerca di informazioni di eventuale rilievo penale, di ascolto e controllo di ipotetici sospettabili, di ricerca preventiva e invasiva dei diritti di riservatezza in aperto contrasto con la lettera costituzionale". 
È la stessa linea del ddl in discussione alla Camera che pone altri vincoli capestro. Partendo da un assunto: le intercettazioni debbono essere "assolutamente indispensabili". Esse non potranno durare più di 15 giorni e potranno essere prorogate fino a un massimo di 90 solo motivandolo adeguatamente. Il pm dovrà spiegare al gip che cosa ha raccolto fino a quel punto e perché vuole ascoltare ancora le conversazioni dell'imputato. Il pm, sin dall'inizio, dovrà individuare "la correttezza della qualificazione giuridica del fatto". Cioè il reato da contestare dovrà essere subito chiaro. In caso contrario le intercettazioni saranno da buttare. Il lungo articolato prevede anche la distruzione delle intercettazioni cosiddette irrilevanti e la punizione, da sei mesi a quattro anni, per chi dovesse fare delle rivelazioni.