Sciopero,
scontro fra toghe
da Il Mattino del 26.2.99
SANNO di rischiare l’impopolarità, ma sono convinti che il pugno
di ferro sia l’unica strada per ottenere le riforme da anni attese. Da
ieri, i penalisti italiani - dopo un blocco totale di tre giorni - hanno
ripreso a indossare la toga, salvo tornare a sfilarsela per i processi
dove va applicato l’articolo 513 del codice di procedura penale. L’astensione
dalle udienze, decisa a fine gennaio, durerà fino al 20 marzo e,
come è facile prevedere, farà saltare molti processi di criminalità
organizzata e di Tangentopoli. Un primo clamoroso effetto si è avuto
ieri a Palermo, all’udienza per il processo contro il senatore Giulio Andreotti.
Gli avvocati non ci sono e la Procura chiede che si continui anche senza
di loro, sostituendoli con i legali d’ufficio. Non solo: il procuratore
aggiunto Guido Lo Forte, Pm nel procedimento, ha chiesto la trasmissione
dei verbali al suo ufficio, al fine di informare il capo dello Stato, anche
nella sua veste di presidente del Csm; i presidenti di Camera e Senato;
il ministro della Giustizia, Oliviero Diliberto. Secondo i magistrati questo
ennesimo sciopero, dalla «inammissibile durata», violerebbe
la Costituzione perché si interrompono servizi essenziali. È
questo solo l’ultimo atto di una guerra, iniziata nell’autunno scorso,
in occasione dell’ultima protesta dei penalisti: già allora le Procure
di Palermo e di Roma avevano manifestato grandi dubbi sulla legittimità
della protesta.
Un disegno di legge costituzionale già approvato da una Camera,
la corsia preferenziale per un disegno di legge del governo. E tutto per
garantire il contraddittorio durante il dibattimento, cioè la possibilità
per un imputato di sentire, e controbattere in aula, il suo accusatore.
«Abbiamo molto apprezzato il comportamento del Guardasigilli. Ma
vogliamo vedere come intende comportarsi il Parlamento e capire se vorrà
riservare al testo del ministro una corsia preferenziale. Se si dimostrerà
di voler fare sul serio, allora saremo anche pronti a riunirci per rivedere
subito la nostra posizione», spiega Giuseppe Frigo, che dei penalisti
è il presidente. Il Parlamento, in sostanza, resta un sorvegliato
speciale, da parte di una schiera di avvocati che ha deciso di insistere
nelle maniere forti per essere ascoltata. Dice l’avvocato Nino Marazzita:
«Promesse ne sono state fatte tante. L’unica differenza è
che ora c’è qualcosa di più concreto e una volontà
politica più decisa. Ma se noi abbandoniamo la linea dura prevarrà
la linea di magistrati come Caselli e Borrelli. Ci troviamo di fronte a
un Parlamento piuttosto debole, e molto condizionato da un ristretto gruppo
di procuratori». Ma che cosa volete di più, oltre agli interventi
di questi ultimi giorni? «Ci aspettiamo una chimera: la ristrutturazione
completa del codice di procedura penale che è totalmente fallito,
perché non tutela né il cittadino imputato né la collettività»,
risponde il legale romano. E da Napoli, con Gustavo Pansini, si continua
sulla stessa linea: «I passi in avanti devono essere fatti, non solo
detti. Sul 513 già c’era stato un accordo che è saltato.
Adesso, vediamo che cosa accade o se anche questo testo rischia di bloccarsi
in Parlamento e verrà approvato soltanto fra cinque anni».
Il rischio di impopolarità non preoccupa né Marazzita né
Pansini. Dice il primo: «Senz’altro ci siamo posti il problema, sentiamo
di avere il fiato sul collo. Ma questo sciopero lo facciamo per tutti».
E Pansini continua: «Fin dalla nostra nascita abbiamo avvertito questa
questione. Ma stiamo conducendo una battaglia che è di enorme importanza».
Antonio Briganti, presidente della Camera penale di Napoli, si chiede perché
non sia stato usato lo strumento del decreto legge per il 513, così
come è avvenuto, invece, per il provvedimento salvaprocessi: «Il
Parlamento deve decidere se l’Italia vuole stare in Europa, assicurando
ai suoi cittadini quelle garanzie previste dai patti internazionali. Questa
è una battaglia decisiva che non possiamo fare solo noi legali».
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