Maternità, assegno anche se si lavora 

da Il Sole 24 ore del 26.1.99

(NOSTRO SERVIZIO)
ROMA — Le professioniste hanno diritto a percepire dalla propria Cassa di previdenza l’indennità di maternità anche se continuano a lavorare fino a pochi giorni dal parto. Il sostegno economico che il legislatore ha voluto attribuire alla lavoratrice gestante ha, infatti, un duplice obiettivo: tutelare la salute della donna e del nascituro ed evitare, nel contempo, che alla maternità si colleghi uno stato di bisogno o una diminuzione del tenore di vita.
È questo il principio seguito dalla sezione Lavoro della Cassazione con la sentenza 612/99 depositata il 22 gennaio scorso nella vicenda che opponeva un notaio alla sua Cassa nazionale. Il problema riguarda l’interpretazione della legge 379/1990 che sancisce il diritto delle libere professioniste a un’indennità in caso di maternità, di adozione, di affidamento preadottivo e di aborto.
La Suprema corte ha ritenuto che la legge non obbliga le professioniste ad astenersi da ogni attività, ma si limita a prevedere un’indennità «per i periodi di gravidanza e puerperio». L’essenziale per il legislatore è che la donna possa vivere questo delicato momento in piena serenità, senza ostacoli, né remore alla gravidanza e alla cura del bambino nel periodo di puerperio. Ciò può avvenire, secondo la Cassazione, lasciando che la professionista svolga la sua funzione familiare conciliandola con la contemporanea cura degli interessi lavorativi «non confliggenti col felice avvio della nuova vita umana».
Il notaio peraltro non è obbligato, come sostiene la Cassa di previdenza, a nominare un coadiutore in quanto «la responsabile autodeterminazione dell’interessata» le consente di gestire in modo autonomo le proprie forze nel tempo, adattare le caratteristiche della struttura attraverso la quale si estrinseca la libera professione alle proprie esigenze e scegliere nel modo migliore «come e quando svolgere attività lavorativa in modo da assicurare il servizio del notariato».
Non solo. La disciplina dettata dalla legge 379/1990 riguarda non solo i notai «ma tutte le libere professioniste iscritte alle casse di previdenza e assistenza indicate nell’allegato A) alla stessa legge» (comprendente le Casse e gli enti di previdenza di avvocati, farmacisti, veterinari, medici, geometri, sportivi, dottori commercialisti, ingegneri, architetti, ragionieri, periti commerciali e consulenti del lavoro).
Per questo motivo non può che valere un’interpretazione «comune» della legge sulla quale non può influire la peculiare normativa della professione notarile in materia di nomina del coadiutore, dettata in vista di obiettivi diversi.
Il legislatore, conclude la Corte, attraverso il pagamento dell’indennità di maternità ha ritenuto di apprestare alla professionista una tutela che, attraverso un sostegno economico, possa consentirle di diminuire il proprio ritmo di lavoro e fronteggiare la probabile riduzione del reddito in seguito alla riduzione o sospensione dell’attività.
RemoBresciani