Si
fa un gran lavoro in Tribunale ma lo spazio è quello che è
da Il Mattino del 26.7.99
PIERA CARLOMAGNO
I colloqui con l'arcivescovo Grimaldi, la visita di Aldo Moro e l'arrivo
di Jackie Kennedy. I sopralluoghi, le riunioni di Giunta, i Consigli comunali
e le manifestazioni dei disoccupati. Il sindaco contestato, l'avvocato
in toga, l'amico fedele di Alfonso Menna, il marito innamorato e l'alpinista.
Scene da una vita vissuta senza risparmio. Documentata in centinaia di
foto con le quali l'avvocato Alberto Clarizia ha tappezzato i muri dello
studio di via Vicinanza. Di ciò che ha fatto non cancellerebbe nulla.
«La mia caratteristica principale? Lo sanno tutti. Dare speranza
nelle situazioni drammatiche, come fa quel piccolo candelabro che serve
per tenere acceso il lumino...». E per lui le bugie diventano l'unica
via possibile verso una costruttiva verità.
Avvocato Clarizia, quando nel '75, fu eletto sindaco, intitolò
il suo programma «Conoscere per giudicare». Perché?
«Perché venivo dopo la difficile esperienza Russo e volli
esortare tutti ad attendere prima di trarre conclusioni».
Era preoccupato per il compito che le era stato affidato?
«No, ma allora si affrontavano solo problemi di carattere socio-economico.
Era un momento di crisi, si cominciò con la ricostruzione, non solo
morale, ma anche nei fatti. La situazione non era quella di oggi: la subalternità
a Napoli e agli avellinesi era evidente, e i vari Scarlato, D'Arezzo, Angrisani,
erano in lotta tra loro. Ma c'erano esigenze prioritarie: casa e lavoro».
E la mancanza di credibilità politica incideva sulla possibilità
di operare?
«Moltissimo. Inoltre era il periodo delle gravi incertezze delle
più importanti industrie cittadine. Come le Mcm, la Coral, la Fulgor,
la Sassonia, la Snia Viscosa... E ancora era il periodo post-terremoto,
della camorra e del terrorismo insieme. Era un periodo in cui i sindaci
restavano in carica solo per qualche mese...».
Lei se la cavò?
«Sono stato al fianco dei lavoratori. Sono stato sindaco come
un buon padre di famiglia».
Ma i lavoratori l'hanno contestata. Così dicono le foto che
ha esposto...
«Ma quelli erano amici miei... Così dovevano fare: finito
il corteo io aprivo loro le porte e chiedevo - cosa posso offrire, te,
caffè? - Poi ne ho fatti assumere 300, tutti i corsisti. Ero amico
dei comunisti, e che comunisti. Erano i tempi di Feliciano Granata, Guido
Martuscelli, Ninì Di Marino. Ed ero amico degli operai. Erano loro
i miei elettori, il popolo delle Fornelle, del porto. Ma al partito ci
sarò stato sì e no 8 volte. Sono stato salernitano e non
democristiano, ecco il segreto. Io dico che un sindaco per essere bravo
deve avere i morti nel cimitero di Salerno».
Allude?
«No. Devo dire che bisogna dare atto all'amministrazione attuale
che ha dimostrato una grande operatività nel senso dell'abbellimento
della città».
Niente a che vedere con il suo «Conoscere per giudicare»?
«Si può avere un indirizzo anche diverso, ma non si può
negare che il sistema viario, l'illuminazione, la pavimentazione, il verde,
la creazione di parchi, l'acquisizione di proprietà da rivolgere
ad uso di disponibilità ricreativa per tutti i cittadini, sia una
concreta e valida attuazione di progresso».
Tuttavia?
«La critica è su una carenza di lavoro che non è
da addebitare soltanto a chi amministra la città in quanto l'attuazione
deve provenire da una programmazione che non dipende dal civico consesso,
ma dagli altri anelli amministrativi. L'opera di riqualificazione del tessuto
urbano è stata attuata. Ora bisogna pensare allo sviluppo, ci vuole
il coordinamento di tutte le altre linee proposte su scala territoriale.
L'aeroporto, l'allargamento dei porti turistici... superare quel tradimento
che portò l'Università a Fisciano e riportarla nei confini
della città almeno con il Rettorato o con gli uffici di rappresentanza...
la realizzazione di alberghi, di strutture culturali».
E l'industria? Quando lei fu sindaco era in agonia. Oggi è persa?
«Sì. Siamo stati traditi. Prima e dopo di me. Fa bene
la magistratura oggi a controllare bene le cosiddette Asi».
Ma la giustizia funziona?
«Si fa un lavoro enorme in Tribunale. Perché all'attività
giudiziaria non vengono forniti i locali idonei, il numero di magistrati
sufficiente, e soprattutto i mezzi moderni. Non ci sono le aule, i processi
vanno avanti l'intera giornata, e quando ci sono le videoconferenze tutto
il resto viene sospeso. E poi c'è il tempo che si sta perdendo per
realizzare la nuova struttura. L'ultimo mio atto da sindaco fu l'occupazione
dei locali della scuola Vicinanza. Ma bisognava prendere tutto, e trasferire
la scuola a piazza Malta».
Tornando alla salernitanità. Esiste?
«No, neanche, come si è creduto negli ultimi tempi, nella
squadra di calcio. Nonostante la grande passione della città intera,
i salernitani sono completamente assenti nel direttivo della società
granata. Non ci sono imprenditori in grado di prendere la situazione in
pugno. Siamo dipendenti in tutto».
E qualcosa che funzionava meglio prima?
«Certamente la sanità. Oggi senza dubbio rispetto a ieri
abbiamo avuto dei locali in più a disposizione. Una serie di strutture
sulle quali prima non si poteva contare. Ma nonostante ciò la domanda
che faccio a me stesso come ex amministratore della città è:
questi spazi sono stati distribuiti bene? L'ex tubercolosario, il vecchio
ospedale San Giovanni di Dio e Ruggi d'Aragona... bisognerebbe attrezzarli
meglio con sale d'accoglienza, con tutto quello che serve per la previdenza
delle malattie, per ovviare ai più grandi bisogni della gente per
essere più vicini a chi soffre.
L'antica scuola medica salernitana e le sue erbe erano un faro di luce
per la città. Oggi nonostante gli sforzi fatti in molte direzioni
abbiamo solo un ospedale che è una vergogna».
|