Si muove il «garante di tutti» ma il nodo resta la giustizia

da Il Corriere della sera del 26.5.99

Scottati dal presidenzialismo strisciante che aveva segnato il settennato di Scalfaro, molti si sono interrogati ieri, in Parlamento, sul passo d'esordio di Carlo Azeglio Ciampi. L'iniziativa di chiamare al Quirinale i vertici istituzionali e i capi dei maggiori partiti per un «giro d'orizzonte» sulle riforme (parole di Luciano Violante) è piaciuta a un'ampia maggioranza: la stessa, dal Polo al centrosinistra, che ha appena eletto il capo dello Stato. Ma ha anche suscitato qualche perplessità in chi teme una nuova ondata di interventismo sul Parlamento. 
Se è vero che le riforme spettano alla responsabilità delle due Camere, come ha detto Nicola Mancino, non sarebbe meglio, ha osservato qualcuno, che il presidente della Repubblica si esprimesse con lo strumento del messaggio al Parlamento e solo con quello? L'obiezione ha dato forza al venticello di una critica velata, quasi un borbottio: Orlando, Maura Cossutta, Giovanardi, Taradash... Voci soverchiate da un coro di elogi, da Veltroni a Berlusconi. Ma questa volta, bisogna ammetterlo, le critiche sembrano fuori luogo. 
Ciampi si è mosso con prudenza e senza giustificare in alcun modo il sospetto di interventismo. Ha fatto né più né meno quello che aveva anticipato nel discorso alle Camere, il giorno del giuramento, quando aveva indicato la proprità delle riforme istituzionali. I colloqui di ieri valgono come gesto simbolico e in tal senso rappresentano uno stimolo alle forze politiche. Ma nella sostanza, come ha riferito il presidente della commissione Affari Costituzionali della Camera, Maccanico, «Ciampi ha soltanto ascoltato e non ha dato alcuna indicazione». 
La sua è stata soprattutto «una presa di contatto». Ed è verosimile che il capo dello Stato voglia rendersi conto di certi problemi anche in vista di un futuro gesto formale, come sarebbe un messaggio alle Camere. 
Per il resto il bandolo della matassa è tutto nelle mani del Parlamento, come ha ricordato Mancino, offrendo la lettura autentica del passo di Ciampi. E allora si tratterà di verificare quanto valga l'ottimismo che ieri sera si respirava in diversi ambienti. Certo, è difficile attendersi novità rilevanti prima delle elezioni europee del 13 giugno. E tuttavia si coglie una generale volontà di fare qualcosa, di dare un senso a una legislatura destinata a scadere solo nella primavera del 2001, quindi tra due anni. 
In fondo l'ampia convergenza D'Alema-Berlusconi-Veltroni-Fini con il sostegno dei prodiani, da cui è scaturita l'elezione di Ciampi, ha un senso solo se costituisce la premessa di un lavoro comune. Un lavoro che deve svolgersi nell'ambito del rinnovamento delle istituzioni. Sotto questo profilo l'iniziativa del Quirinale risponde alla logica che ha ispirato il «patto del primo scrutinio», sulla cui base Carlo Azeglio Ciampi è stato eletto presidente. Quanto al merito delle riforme, l'intesa è ancora lontana. 
Anche sul metodo ci sono varie zone d'ombra: di sicuro l'idea di riesumare la Bicamerale, suggerita da Casini e altri, non ha entusiasmato nessuno. Quanto meno è troppo in anticipo sui tempi. Con il rischio, oltretutto, di ricadere negli errori del passato. Al momento la strada delle riforme passa attraverso l'articolo 138 della Costituzione. Ma per fare cosa? E' poco credibile che l'elezione diretta del capo dello Stato diventi una priorità. Come tale interessa forse solo ad An, a parte i radicali. 
Viceversa Berlusconi, i Popolari e una parte consistente della sinistra preferiscono altre vie. E' più facile immaginare che si lavori sul- la forma di governo (il cancellierato?), con la connessa legge elettorale, simile a quella su cui aveva lavorato Amato. L'elezione diretta potrà venire (se verrà) più avanti, dopo che si saranno definiti il ruolo e il potere del primo ministro, vero capo dell'esecutivo. Ma il nocciolo del problema è ancora lo stesso di un anno fa: la giustizia, i poteri dei magistrati. Le regole relative al «giusto processo», su cui il Parlamento deve pronunciarsi, sono un passaggio chiave, ma non esauriscono il tema. Ed è logico che il Polo si aspetti che queste riforme siano legate tra loro da un filo rosso. Ciò significa che la parola è, sì, al Parlamento. Ma significa anche che si guarda con insistenza a Ciampi come al «presidente di tutti». Il garante di un processo complesso. 
Stefano Folli,