La giustizia è uguale per
tutti?
da Il Messaggero del 26.11.99
di ROBERTO MARTINELLI
QUANDO vuole, la giustizia italiana sa essere inflessibile ed esemplare.
Lo è stata certamente nell’ordinare l’arresto di Gino Rossi di anni
87, cardiopatico, malfermo sulle gambe e con disturbi alla vista. Deve
scontare tre anni e mezzo di carcere per aver nascosto droga in un pacco
di salsicce. Una vecchia storia di due anni fa che sembra non aver lasciato
alcun margine alla discrezionalità del magistrato. O almeno questa
sarà la spiegazione che verrà data quando qualcuno si chiederà
se è giusto che un vecchio malato debba essere rinchiuso nella cella
di un carcere per redimersi ed essere riammesso, alla bella età
di novantuno anni, nella società civile.
Gino Rossi è a Rebibbia da una settimana. Da subito, non appena
accertate le sue condizioni di salute, la direzione dell’istituto ha fatto
presente l’incompatibilità dello stato di detenzione col regime
carcerario. La risposta non è ancora arrivata. Colpa della burocrazia
giudiziaria? Forse, ma la cosa non deve sorprendere più di tanto.
E’ vero che la legge non consente la custodia cautelare in carcere a persone
che abbiano più di settanta anni. Ma prevede che a questa regola
si possa derogare quando sussistono esigenze di eccezionale rilevanza.
E qui il potere del giudice è molto ampio perché, oltre al
requisito dell’età, la legge prevede che se le condizioni di salute
non sono buone e comunque tali che il carcere non dia sufficienti garanzie,
la custodia cautelare in una casa di pena non può essere disposta.
Evidentemente il magistrato che ha ordinato il suo arresto non ha ritenuto
che ricorresse nessuna di queste condizioni. Come dire che Gino Rossi è
stato ritenuto un delinquente incallito e la sua responsabilità
è stata equiparata a quella di Enrich Priebke condannato per la
strage delle Fosse Ardeatine e rinchiuso anche lui in carcere alla bella
età di 85 anni.
Il caso di Gino Rossi è naturalmente tutt’altra cosa. Ma impone
comunque una riflessione: sul piatto della bilancia si sono presentati
due interessi contrapposti. Da una parte, quello della giustizia a perseguire
il presunto responsabile di un reato odioso qual è il traffico di
droga. Dall’altro, quello di un povero vecchio e malato che una sentenza
condanna probabilmente a morire nell’infermeria di un carcere. Hanno prevalso
in questo caso la severità della legge e la fermezza dei giudici.
Nulla da dire se questa regola valesse per tutti, vecchi e giovani, poveri
e ricchi, potenti e deboli.
Purtroppo le cronache insegnano che non è sempre così.
E che troppo spesso ci sono condannati di serie "a" e condannati di serie
"b". Persone sorprese a commettere reati non meno odiosi e rimessi in libertà
dopo poche ore. O altre, innocenti, che scontano mesi e anni di carcere.
Per non parlare di criminali, rei confessi di decine di omicidi che neppure
mettono piede nelle patrie galere solo perché si dicono pentiti
e raccontano, in cambio di soldi, quel che fa loro comodo.
Per le leggi e i codici che regnano sovrani nei Tribunali italiani
è giustizia anche questa, ma la gente stenta a credere che essa
sia davvero uguale per tutti.
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