Una giustizia minima valida per
tutti
da Il Messaggero del 26.11.99
di ALESSANDRO BARBANO
Tre anni dopo, sfumata l’enfasi moraleggiante che accompagnò
arresti e cadute eccellenti, una sentenza di proscioglimento alza un sipario
di luce sinistra su quella stagione che infervorò, qui ad Ancona
come nel resto d’Italia, uomini e movimenti. E scopre, allo sguardo scettico
e sfiduciato di una società civile più matura ma anche più
disillusa, il volto autoritario di un ricambio forzato tra classi dirigenti,
cui la giustizia, quella vera, non offre oggi alcuna legittimazione legale.
Non è l’esito in sé assolutorio del giudizio a negare
credibilità al castello di Mani pulite, ma una sequela di accuse,
emergenze, indagini cui il tempo ha tolto quel che di inoppugnabile e quasi
necessario c’era nella percezione collettiva.
La prima di queste riguarda le imputazioni raccolte sotto l’ombrello
dell’abuso d’ufficio, reato cui la coscienza giuridica ha sottratto negli
anni parte di quel pervasivo sindacato penale che pretendeva di regolare
con il carcere le disfunzioni della politica e la rozzezza dei costumi
di una democrazia fragile, quella congerie di pratiche, tipicamente italiane,
per le quali l’esercizio di un diritto finiva sempre per coincidere con
l’elargizione di un favore.
Le assoluzioni e i proscioglimenti che segnano questa stagione smentiscono
l’illusione che la giustizia potesse intervenire, bonificandola, nella
rete di relazioni umane che fanno piccola oppure grande una città:
in primo luogo perché tra il teorema di una concussione ambientale
e la responsabilità personale dei singoli c’è e ci sarà
sempre un divario incolmabile per un diritto che voglia rispettare le regole
su cui si fonda; in secondo luogo perché le tappe di un riscatto
civile - che pure ad Ancona c’è stato a cavallo tra l’inizio degli
anni ’90 e i giorni nostri - si fondano sulla cultura della politica e
sulla sua autonoma e incondizionabile capacità di esprimere un rinnovamento
delle leadership e un aggiornamento dei valori. C’è da stupirsi
perciò che qui taluno, anche nell’Avvocatura, creda che l’esplodere
delle indagini sia servito a bonificare l’etica della democrazia urbana.
Il secondo simulacro di una giustizia discutibile è scritto
sui tempi lenti dei giudizi, sulla graticola dei procedimenti su cui arrostivano,
e bruciavano, carriere e uomini, fino allo sfinimento e alla rinuncia.
Se pure le assoluzioni consegnano all’evidenza del presente autentiche
tragedie umane, ignorate dalla memoria distratta di ieri, un garantismo
vero, ancorato ai dubbi di un diritto penale minimo eppure necessario,
impone di guardare a verdetti come questo senza emozioni di rivincita.
Affinché una stagione controversa si chiuda senza amnesie e senza
pretese riparatorie. E la giustizia ritorni ad essere per tutti una piccola
ma imprescindibile certezza.
|