Giustizia, il caso Craxi e l'erede universale 

da La Repubblica del 26.11.99

MENTRE Bettino Craxi aspetta di essere sottoposto a un delicato intervento chirurgico, il primo augurio che gli si può rivolgere è quello di superare l'operazione nel modo migliore, per affrontare poi una buona convalescenza e arrivare a una pronta guarigione. Il secondo augurio è di liberarsi quanto prima dalle attenzioni più o meno interessate dei suoi amici, vecchi e nuovi, che tentano di strumentalizzare la sua malattia per una rimozione generale di Tangentopoli, non giovando così né alla difesa della sua salute né tantomeno alla sua causa politica e giudiziaria.
Ne abbiamo avuto un'ulteriore riprova qualche sera fa in una trasmissione della tv di Stato, finanziata attraverso il canone dai cittadini, nel corso di un dibattito sul caso Craxi che ha rischiato di ridursi a un Amarcord della Prima Repubblica. La puntata di "Porta a porta" si sarebbe potuta intitolare anche "Angius contro tutti", con il povero capogruppo diessino al Senato contrapposto da solo a quella vecchia volpe di Giulio Andreotti, a quell'impunito di Claudio Martelli, all'ex o post missino Giulio Maceratini e al ministro della disfunzione pubblica del governo in carica, Angelo Piazza, tutti e quattro favorevoli al ritorno dell'ex leader socialista in Italia e alla sua riabilitazione attraverso la grazia, la revisione del processo, la commissione parlamentare d'inchiesta o comunque d'indagine sulle malefatte dei giudici di Mani Pulite. È stato uno spettacolo indecente per mancanza di equilibrio e di obiettività, ma in qualche modo anche istruttivo perché ha prefigurato davanti a milioni di telespettatori quella che potrebbe essere l'amministrazione della giustizia, il rispetto della legge e del diritto, nelle mani dei nostalgici del Caf, il famigerato asse di potere Craxi-Andreotti-Forlani.
Non sarà portando in processione l' icona di Craxi malato e invocando il miracolo dell'amnistia che costoro contribuiranno a far curare e guarire l'ex segretario socialista, a sollecitare una soluzione politica per uscire da Tangentopoli, a favorire un'auspicabile riconciliazione nazionale. La via della giustizia s'incrocia necessariamente con quella della verità, una verità che è nello stesso tempo storica, politica e giudiziaria. Ma per poter imboccare e percorrere fino in fondo questa strada è necessario tracciare un'ideale linea di partenza che segni una soluzione di continuità rispetto al passato, anche sul piano degli interessi personali.
Qui si deve innanzitutto distinguere fra tre diverse fattispecie: il finanziamento ai partiti, il finanziamento illecito e la corruzione. In base alla legge, il finanziamento ai partiti è ammesso e possibile, a condizione che avvenga in modo trasparente; il finanziamento illecito è punito proprio in quanto occulto, ma costituisce un reato modesto e ormai risulta generalmente prescritto; e infine la corruzione che presuppone uno scambio e rappresenta perciò un reato più grave. Per il codice, non c'è bisogno di un passaggio materiale di denaro per configurare l'accusa di corruzione a carico di un parlamentare, di un amministratore pubblico o di un pubblico ufficiale: basta un accordo che tenda a realizzare un interesse individuale in violazione dell'interesse collettivo. E onestà a parte, proprio la cultura liberale dovrebbe essere più sensibile alle regole del mercato e della libera concorrenza.
Ora sappiamo tutti che un certo tasso di corruzione è fisiologico all'esercizio del potere in qualsiasi regime, in democrazia e in dittatura, all'Est come all'Ovest, al Nord e al Sud. E ricordiamo anche che nell'Italia delle mazzette la corruzione era diventata invece patologica per due ragioni: primo, perché il cittadino era costretto a pagare per ottenere quello a cui aveva diritto; secondo, perché, pur pagando, spesso non riusciva a ottenerlo. Da qui, il sistema delle tangenti, come una tassa occulta imposta da quella "corruzione ambientale" denunciata a suo tempo Antonio Di Pietro e che purtroppo non è stata ancora debellata.
È un fatto: nel corso del dopoguerra il problema ha riguardato tutti i partiti, senza eccezioni, a livello nazionale e a livello locale. Nel contesto della "guerra fredda", è storicamente noto che gli Stati Uniti sostenevano alcune forze politiche, come la Dc e il Msi, mentre l'Unione Sovietica sosteneva il Pci. E si può anche ritenere legittimamente che sul piano morale è più grave ricevere soldi da una potenza straniera e per giunta nemica come l'Urss. Ma in ogni caso quel tipo di finanziamento per così dire ideologico non costituiva un reato, almeno fino alla legge sul finanziamento pubblico approvata nel maggio 1974 in seguito allo scandalo dei petroli.

A quell'epoca, appunto, risale lo strappo di Enrico Berlinguer con Mosca e quindi l'interruzione del flusso di denaro dal Pcus alle Botteghe Oscure. Da allora, il partito comunista italiano è stato così attento a dichiarare le proprie fonti di finanziamento, o magari così abile a nasconderle, da riuscire a evitare condanne per i suoi dirigenti nazionali: e qui evidentemente non basta più agitare lo spettro delle cosiddette "procure rosse". Se si eccettua il caso del "compagno Greganti" e del suo famoso "conto Gabbietta", da cui a quanto pare non sono mai usciti i 625 milioni delle tangenti, il Pci-Pds ha visto assolti nel tempo non solo gli ex segretari Occhetto e D'Alema, ma anche i suoi tesorieri, Pollini e Stefanini. Nel frattempo, il pm Nordio ha potuto perquisire le sedi della Quercia in tutt'Italia e indagare sui suoi conti, senza trovare alcunché di penalmente rilevante. E ciò che più interessa, nello stesso processo milanese per le tangenti della metropolitana in cui Craxi è stato condannato, il tribunale ha assolto i coimputati di tessera comunista, Barbara Pollastrini e Gianni Cervetti.
Ben altre sono, semmai, le colpe del Pci sul piano storico e politico. Prima fra tutte, quella di non aver proposto un'alternativa praticabile, un modello economico-sociale applicabile in una società occidentale come la nostra. Sono stati proprio i ritardi politici e culturali del partito comunista, confortati forse anche dai finanziamenti di Mosca fino agli Anni Settanta, a determinare quell'immobilismo, quella mancanza di ricambio, quella "democrazia bloccata" che hanno alimentato il regime dell'ultimo cinquantennio. In questo senso, è vero che la "questione morale" è sempre stata in realtà una questione politica: l' alternanza resta il miglior antidoto contro il malaffare e l'impunità.

Adesso, comunque, quella "cinghia di trasmissione" s'è spezzata, mentre non si sono spezzati affatto i rapporti, i legami, le catene che tuttora legano il sistema di potere del vecchio Caf ai suoi discendenti più o meno diretti. E il recente show televisivo di Andreotti e Martelli sul caso Craxi ne ha offerto un'esauriente rappresentazione. Insieme alle due condanne definitive per finanziamento illecito e corruzione, sul capo dell'ex segretario socialista pendono numerosi altri procedimenti e pende soprattutto la responsabilità di aver avallato da presidente del Consiglio con un decreto "ad personam" una violazione continuata della legge dello Stato, su cui si fonda l'impero televisivo di Berlusconi, il suo arricchimento personale e ora il suo potere mediatico e politico. Non occorrono neppure le tangenti che la Fininvest avrebbe versato al Psi attraverso la società All Iberian per documentare una complicità di fatto.
Oltre ad augurare sinceramente a Craxi una pronta e completa guarigione, noi ci auguriamo perciò che prima o poi l'ex leader socialista possa davvero tornare in Italia. Non solo per essere curato al meglio, ma anche per rispondere alla giustizia e difendersi davanti alla magistratura, come hanno fatto tanti altri imputati di Tangentopoli, chiarendo magari le sue accuse contro il presunto complotto politico-giudiziario di cui si dichiara vittima. E soprattutto, ci auguriamo che torni per rendere conto finalmente di quell' ingente patrimonio, materiale e immateriale, che ha lasciato in successione al suo erede universale.