Sinisi: «Troppi 1.000 pentiti»

da Il Messaggero del 26.10.99

di ANTONIO DE FLORIO
ROMA - «Meglio un collaboratore in meno, che un calunniatore in più. Attualmente i "pentiti" sono 1.100 e mi sembra un’esagerazione; andrebbero ridotti a 300». Chi parla è il sottosegretario all’Interno, Giannicola Sinisi, che da tre anni presiede la commissione sui collaboratori di giustizia. 
Sottosegretario Sinisi, vuol dire che in passato siete stati di manica larga? 
«Sì, fino al ’96 c’è stato un eccesso di generosità. Non bisogna dimenticare, però, che nel ’92 e nel ’93 la mafia aveva inaugurato la stagione stragista con gli attentati a Falcone e Borsellino e le autobombe a Roma, Firenze e Milano. Bisognava incoraggiare il fenomeno del pentitismo e i risultati non sono mancati: molti dei responsabili di quei fatti gravissimi sono stati individuati e proprio grazie ai collaboratori». 
Che sono diventati troppi... 
«Certo. Aumentando di numero, con i familiari si è arrivati a più di 5.000, è stato necessario un investimento notevole che si presta a un margine di errore che, anche percentualmente infimo, sussiste. Io credo che questo fatto meriti due riflessioni: primo è che non bisogna essere scontenti del numero elevato; secondo, che una certa generosità nei benefici penitenziari e ammnisitrativi rischiava di provocare il legittimo sospetto che i collaboratori fossero stati indotti a tentazione da queste previsioni favorevoli». 
E allora? 
«Ci siamo imposti, in base alla legislazione vigente, di svolgere un’azione di maggior rigore. Di chiudere immediatamente ogni forma di sostegno economico di tipo eccezionale, non legato al programma di protezione. A partire dal giugno del ’96». 
Dopo l’ultima sentenza Andreotti, sono in molti a reclamare la riforma della legislazione sui pentiti che giace in Senato. Vedranno mai la luce le nuove norme? 
«Sono regole sacrosante, promosse in un disegno di legge governativo di due anni fa, con le quali si stabilisce che le dichiarazioni vanno fatte entro un periodo di tempo definito, evitando le confessioni a rate; che il collaborante deve scontare in carcere una parte delle pene, quando ha commesso reati molto gravi. E ancora: che la protezione sia legata alla durata del processo e al periodo di rischio; nessuno vitalizio, insomma. Purtroppo queste norme sono bloccate al Senato su questioni che rispetto alla gestione dei pentiti sono del tutto estranee. Come la valutazione delle dichiarazioni degli stessi collaboratori». 
Il Polo chiede che la riforma dell’art.192 del codice di procedura penale (valutazione della prova) sia abbinata a quella sulla legislazione dei pentiti. La maggioranza risponde di no. Quale può essere la via d’uscita? 
«La soluzione penso sia quella seguita dalla commissione giustizia del Senato che ha accantonato il problema della valutazione delle dichiarazioni dei collaboranti. Una cosa è la gestione dei pentiti e i benefici che possono essere accordati e un’altra è la valutazione probatoria di quello che dicono». 
Sottosegretario Sinisi, il procuratore di Torino Maddalena dice che non ci sono più pentiti, mentre il capo della procura di Caltanissetta Tinebra sostiene che, per fortuna, ce ne sono ancora. C’è un po’ di confusione in materia? 
«Non mi sembra. Ciascun magistrato ha fatto riferimento alla realtà in cui opera; Tinebra, ad esempio, ha fatto presente che con sei nuovi collaboratori di giustizia ha potuto sgominare gran parte di un’organizzazione malavitosa piuttosto pericolosa nella zona di Gela. Maddalena, a Torino, si trova a fronteggiare la criminalità extracomunitaria che ha soppiantato la ’ndrangheta nel traffico di droga».