Diliberto difende i pentiti "ma nessun contratto a vita" 

da La Repubblica del 26.10.99

di LIANA MILELLA 
ROMA - Il Guardasigilli Oliviero Diliberto esce da una giornata difficile e si appresta a viverne una che si preannuncia peggiore. L'altro ieri era a Sorrento per rassicurare i magistrati nel mirino dei tanti detrattori galvanizzati dall'esito del processo Andreotti, ieri stava a Poggioreale con i detenuti, e oggi sarà di fronte alla commissione Antimafia per rispondere dei tanti buchi negli organici dei palazzi di giustizia. Ma, davanti al presidente Del Turco, si parlerà - ed è inevitabile - anche dei pentiti. Sui quali le idee che il ministro della Giustizia anticipa a Repubblica sono chiare e riassumibili in una battuta: "No ai collaboratori a vita, sì alla loro indispensabilità nei processi di mafia". 
Come tante volte ha cercato di fare, anche in quest'occasione Diliberto mostra i frutti di un ragionamento che, a suo avviso, dovrebbe convincere anche gli avversari, e cioè tutti quelli del Polo che, mai come su quest'argomento, sono decisi a fare quadrato. Tranquillo, mentre raccoglie le idee in vista del meeting all'Antimafia, spiega: "Che i pentiti servano nella guerra alla magfia mi sembra un'affermazione scontata, ma che è opportuno ribadire in tempi come questi". E aggiunge: "Altrettanto ovvio mi sembra mettere in evidenza che le loro dichiarazioni servono per le indagini". 
E dunque? Al ministro non sfugge che, dopo i due processi Andreotti, i pentiti hanno raggiunto il minimo storico di attendibilità. Ma Diliberto insiste: "Nessuno può gettare a mare uno dei pilastri della lotta mafia, ma...". I "ma" ci sono, perché anche il ministro sa bene che è impossibile difendere i pentiti, senza andare incontro a una sicura sconfitta. I "ma" di Diliberto sono questi. Innanzitutto approvare al più presto la nuova legge che "ha l'obiettivo di eliminare alcune pericolose contraddizioni". La prima riguarda il mestiere di pentito. Fino a oggi, chi passava dalla parte dello Stato, sapeva di poter contare su una sorta di contratto per sempre. Non sarà più così. E Diliberto, reciso, afferma: "Quella di collaboratore non può essere una professione a vita". Una convinzione che ormai ha preso piede nel governo, se è vero che anche il presidente della commissione di protezione dei collaboratori, il sottosegretario Gian Nicola Sinisi, ieri dichiarava: "Lo status di pentito non può essere un vitalizio, deve essere a tempo". 
Nei limiti posti all'ex mafioso ci dev'essere - ma ormai tutti lo sostengono - quello di un tempo determinato in cui concentrare le dichiarazioni. Quale occasione migliore del processo Andreotti per ricordare che sono finiti gli anni delle cosiddette dichiarazioni "a rate"? Dice Diliberto: "I pentiti devono avere un tempo, che naturalmente sia ragionevole, entro cui verbalizzare quello che sanno. Non si può avere un pentito che parla quando gli pare nel corso degli anni". 
Il ministro della Giustizia - che ha ereditato la gestione parlamentare della legge sui collaboratori elaborata dal governo Prodi nel febbraio '97 - sui limiti stretti nei tempi delle rivelazioni aggiunge: "È evidente che, passato quel periodo, il rapporto di collaborazione deve ritenersi concluso, anche se non si potrà considerare chiusa anche la protezione". 
Un notazione di rilievo, quest' ultima. Il sottosegretario Sinisi, ieri mattina, aveva affermato: "I mille pentiti attuali mi sembrano un'esagerazione, il numero va ridotto a 300". Diliberto, nel pomeriggio, distingue invece tra collaborazione e protezione. La prima deve avere una scadenza: il pentito dice tutto quello che sa entro sei mesi, poi partecipa ai processi. Ma ciò non vuol dire che la protezione cessi. Certo, l'ex mafioso non potrà essere mantenuto per sempre dallo Stato - come si pensava potesse essere nel '91 e nel '93 - ma comunque la sua protezione dovrà essere garantita. La legge sui pentiti, approvata finora solo dalla commissione giustizia del Senato, ha di fronte una lunga strada: l'aula di palazzo Madama e poi Montecitorio. Vedremo che ne resterà.