Polvere
e calcinacci sulla Legge
da L'Unione Sarda del 27.2.99
È come se l'amministrazione della giustizia avesse perso le istruzioni
per l'uso. Prima regola: l'apparire non è solo questione di forma.
Entrare nel palazzo equivale a far una overdose di sconforto. Provare per
credere: anditi bui e sporchi, aule in condizioni vergognose, infissi in
bilico perenne. Troppo facile addebitare tutto al fatto che da otto anni
la sede giudiziaria è interessata da una ristrutturazione a corrente
alternata. La sopraelevazione del palazzo è andata a rilento per
le enormi difficoltà incontrate dall'impresa aggiudicatrice dei
lavori.
L'odissea edilizia sembra ormai giunta a un approdo: l'ultimo piano
è praticamente completato, entro poche settimane si potranno trasferire
gli uffici della procura presso la pretura circondariale e della procura
presso il tribunale. Ma in questi anni di lavori e di - come dire, disordine
necessitato, sembra che tutto il palazzo si sia rassegnato a una decadenza
inevitabile. Il risultato è che l' impatto con la giustizia è
desolante per tutti, figurarsi per chi, con la dea bendata, ha qualche
pendenza. Il viaggio ai confini della realtà può cominciare
con aula della corte d'assise: sembra un infelice compromesso tra un campo
da calcio e un teatro mai compiuto. Soffitti altissimi, finestroni in stato
d'abbandono, mai né del tutto aperti né del tutto chiusi:
di modo che d'inverno si gela e d'estate si soffoca. Sua maestà
la polvereregna sovrana: e non fa differenza tra i banchi dei magistrati
e quelli di avvocati e pubblico. Per non parlare delle tende che, alle
spalle dei giudici, minacciano di cadere da un momento all'altro, portandosi
appresso il peso di anni (forse decenni) di sporcizia. Sporcizia nelle
gabbie: realizzate ai tempi dei processi per le Brigate rosse, chiudono
allo stesso modo imputati, drammi e cartacce uniti in un insolito destino.
«È davvero uno sfacelo, come consiglio dell'Ordine forense
abbiamo più volte denunciato questo stato di abbandono», commenta
sconsolato l'avvocato Gianfranco Cualbu, presidente degli avvocati del
Foro di Nuoro.
Non è che altrove, a spasso per un edificio in corsa per il
premio come tribunale più brutto d'Italia, la situazione migliori:
è l'intera struttura in sofferenza. Un aspetto, quello della sicurezza,
è paradossale e preoccupante: a palazzo di giustizia tutti possono
sentirsi a casa loro. Libero accesso, nel senso che nessun sistema di protezione
impedisce l'ingresso a eventuali malintenzionati. C'é, a dire il
vero, una gabbia sofisticatissima, proprio dopo il portone principale,
eredità degli anni di piombo. Costata un miliardo e spiccioli, ha
funzionato nei primi anni ottanta e poi è stata mandata in pensione.
«Speriamo che ora, con il termine dei lavori di sopraelevazione,
si possano finalmente spendere gli altri 4 miliardi di un finanziamento
che serviranno per completare i lavori e dare un aspetto complessivamente
dignitoso al palazzo», sospira Cualbu. Che, non lo nasconde, accarezza
un sogno: l'acquisizione dello stabile ex Inam, proprio di fronte al tribunale,
per completare la cittadella giudiziaria e rendere davvero funzionale l'amministrazione
della giustizia. C'é già una trattativa per accorpare l'edificio,
ma il discorso riguarda comunque il futuro. Per tornare al presente, resta
tutta la squallida realtà del tribunale, dove non si è nemmeno
riusciti a far funzionare il nuovissimo e supertecnologico ascensore. C'é,
è costato molto denaro, eppure non può trasportare nemmeno
una piuma. Almeno per ora. Per chi entra a "palazzo", resta la speranza
che la legge funzioni meglio dello scalcinato abito che si ritrova addosso.
SIMONETTA SELLONI
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