Nel caos della legislazione troppo spazio alle Bicamerali 

da Il Sole 24 ore del 27.2.99

di Giorgio Benvenuto *
Da qualche anno, l’attività legislativa è "sotto osservazione" a causa — soprattutto — del fenomeno "inflattivo" che l’ha colpita. Le varie analisi fatte in materia, denunciano l’eccessivo numero di leggi, l’insoddisfacente qualità delle stesse e la scarsa attenzione prestata dal legislatore nei confronti dell’idoneità delle leggi a trovare concreta attuazione. Tutto ciò si tradurrebbe in una crescente incertezza del diritto, favorendo la diffusione di comportamenti elusivi, l’incremento delle controversie e il conseguente appesantimento del lavoro degli uffici giudiziari.
Accanto a questa tendenza, si assiste al progressivo ridimensionamento del ruolo del Parlamento che ormai, con la moltiplicazione delle fonti di produzione del diritto, sembra aver perso la centralità che per diversi decenni aveva occupato nel sistema politico-istituzionale e che si giustificava, in primo luogo, in relazione alla titolarità del potere legislativo. D’altra parte, occorre prioritariamente domandarsi se tale situazione sia sostenibile per i cittadini. Partendo da ciò, appare indispensabile individuare gli strumenti idonei a "disboscare" la fitta trama costituita da leggi, decreti, regolamenti e circolari interpretative, per arrivare, a un sistema normativo chiaro e contenuto entro dimensioni ragionevoli.
Il Parlamento a questo aspetto ha dedicato notevole attenzione. La Camera, in particolare, si è dotata di strumenti necessari per verificare l’effettiva necessità di un intervento legislativo, l’idoneità dei testi in discussione a raggiungere lo scopo che si sono prefissi e la possibilità della loro concreta attuazione. Tutto ciò comporta un lavoro consistente soprattutto per le Commissioni, che costituiscono la sede propria in cui deve essere effettuata un’approfondita istruttoria.
Quelle accennate sono novità di grande importanza, che potranno risultare tanto più utili quanto più a esse sapranno fare ricorso le Commissioni parlamentari, per garantire un più elevato livello qualitativo della legislazione e ridurre l’eccessivo numero di leggi vigenti.
Nel corso degli anni il Governo si è appropriato di una fetta rilevante della potestà legislativa precedentemente riservata al Parlamento. Fino alla sentenza 360/96 della Corte costituzionale, era pratica costante la reiterazione di decreti-legge non convertiti. Venuta meno la possibilità di adottare decreti, è subentrata una fase successiva caratterizzata dal costante ricorso da parte del Governo allo strumento della delega. Ciò non ha fatto che accrescere la condizione di disagio del Parlamento, letteralmente travolto in alcuni periodi dalla produttività legislativa del Governo. In altri termini, al giusto ridimensionamento del fenomeno dell’abuso della decretazione di urgenza, non ha fatto seguito un significativo miglioramento della qualità della legislazione.
Ancora più complesso è il caso della normativa adottata da altre fonti, quali l’Ue, le Regioni e, soprattutto, le Autorità di vigilanza, soggetti che non intrattengono un rapporto costante con il Parlamento che, quindi, non dispone di strumenti efficaci di intervento sul merito dei provvedimenti adottati.
Quanto all’uso dello strumento della delega legislativa, non sembra azzardato affermare che per il settore tributario assume le caratteristiche di un vero e proprio caso emblematico. Peraltro, anche se il numero dei provvedimenti adottati nell’ultimo biennio, in attuazione di deleghe conferite al Governo in primo luogo dalla legge 662/96, è senza dubbio rilevantissimo, non si può sostenere che vi sia stato un abuso di delega. D’altra parte, non è casuale che anche per la riforma tributaria degli anni 70 fu impiegato lo strumento della delega. Piuttosto, si tratta di verificare se non vi siano aspetti meritevoli di ulteriori approfondimenti per quanto concerne l’esercizio delle deleghe. I decreti legislativi hanno previsto un consistente rinvio alla delegificazione, affidando in numerosi casi ai dirigenti dell’amministrazione finanziaria il compito di normare parti consistenti della disciplina da introdurre. In questo modo, al Parlamento è sfuggita la possibilità di verificare la rispondenza del complesso delle disposizioni adottate ai criteri e ai principi direttivi che esso stesso aveva previsto. Né va trascurato l’aspetto costituito dalle specifiche modalità che sono state adottate per l’esame di alcuni dei provvedimenti attuativi di deleghe conferite al Governo. Mi riferisco al fatto che negli ultimi anni si è registrata una vera e propria esplosione del fenomeno costituito dalla costituzione di Commissioni bicamerali che non può non suscitare dubbi e preoccupazioni.
Alla luce dell’esperienza sin qui maturata, si può tentare di svolgere qualche considerazione sulla scelta di procedere alla costituzione di queste Commissioni, scelta che se rispondeva al condivisibile obiettivo di evitare l’espressione di pareri contrastanti da parte dei due rami del Parlamento, ha fatto tuttavia emergere qualche difficoltà. Va infatti considerato che tali Commissioni, anche quando hanno svolto un lavoro egregio, come nel caso della Commissione parlamentare per la riforma fiscale, hanno tuttavia dovuto mantenersi entro i limiti imposti dalla loro peculiare natura e in particolare dal loro carattere transitorio, che precludeva loro la possibilità di avvalersi degli strumenti e delle procedure cui ho fatto riferimento in precedenza. Non si può, inoltre, non rilevare che la moltiplicazione, in sede parlamentare, dei soggetti abilitati a pronunciarsi sulle stesse materie, rischia di riprodurre, all’interno del Parlamento, quella situazione di confusione e incertezze che si registra all’esterno. Pertanto, mi sembra necessario porre un freno alla tendenza alla proliferazione di Commissioni bicamerali e impedire il tentativo di stravolgerne la natura trasformandole da organismi di carattere "eccezionale", di durata limitata, ad articolazioni permanenti del Parlamento. Ciò avverrebbe, ad esempio, qualora si ampliasse con successivi provvedimenti di delega, l’ambito della competenza già attribuita a tali Commissioni, che dovrebbe invece esaurirsi una volta realizzata l’attuazione delle deleghe già conferite.
In conclusione, mi pare necessario che il Parlamento assuma decisioni — anche coraggiose — ispirate a un indirizzo coerente, in linea con le novità che sono state introdotte negli ultimi anni. Inoltre, occorre procedere con la massima cautela a trasferire ad altri soggetti competenze di tipo normativo, verificando se vi sia una reale necessità di una disciplina di dettaglio di rango sublegislativo, ovvero se non sia preferibile demandare, almeno parzialmente, tale disciplina all’autoregolamentazione dei soggetti interessati, come è già parzialmente avvenuto per il settore finanziario. Infine, si tratta di assicurare al Parlamento un flusso costante di informazione su tutti gli atti e provvedimenti di natura sublegislativa, consentendogli di disporre di un quadro compiuto della normativa in vigore e restituendogli pienamente il ruolo che gli compete.
* Presidente della commissione Finanzedella Camera dei deputati