L'avvocato
«supplenza dei PM»
da Il Mattino del 27.1.99
Massimo Krogh*
Non mi sembra realistica quella lettura di Tangentopoli che intravede
un disegno delle Procure preordinato a un’alleanza con la parte politica
promossa da «mani pulite». Diventa superficiale o soltanto
malizioso confondere gli effetti con le cause.
È vero che l’azione della Magistratura ha prodotto effetti più
politici che giudiziari, infatti il quadro politico è completamente
mutato mentre quello giudiziario è fermo e il suo panorama offre
una vista desolante; su quasi tutti i processi la prescrizione è
in agguato sicché mai si saprà chi fosse o chi non fosse
colpevole.
Non mi sembra tuttavia che ciò autorizzi la conclusione che
vi sia un «partito delle Procure», mosso da prospettive politiche
piuttosto che da fini di giustizia. Questa suggestiva tesi, sbandierata
da più parti, tradisce talvolta l’insofferenza d’una certa fascia
sociale al controllo dei giudici.
In realtà il Pm ha attuato un intervento di supplenza provocato
dai vuoti istituzionali; non deve dimenticarsi che nel nostro Paese la
verifica di legalità è rimasta lungamente in un’area d’incubazione,
frenata da un’articolata rete d’interessi che pareva inattaccabile.
Poi qualcosa è successo anche e soprattutto per una spinta popolare
emersa nel Nord del Paese, e dunque nelle sedi politiche come nell’area
dell’amministrazione e nei circoli dell’impresa c’è stata l’irruzione
del più violento fra i rami del diritto, quello che non regola ma
punisce: il diritto penale.
Forse non a caso ciò s’è incrociato con l’avvento del
rito accusatorio, che, proprio per l’importanza che il controllo
di legalità riveste nel modello democratico, conferisce poteri enormi
all’ufficio del pubblico ministero. Peraltro nel nostro sistema processuale
questo
megapotere investigativo è stato incautamente lasciato privo
di anticorpi; non si è previsto quanto nel mondo anglosassone (da
cui il rito accusatorio s’è mutuato) costituisce la regola, vale
a dire un meccanismo di frazionamento istituzionale dove ogni potere incontra
un contropotere che non tollera eccessi d’invadenza.
Molti Pm, enfatizzando il proprio ruolo, si sono ingolfati in una sorta
di piovra inquisitoria dove il primato del giudizio ha perduto ogni interesse.
Non può negarsi che nell’arco di Tangentopoli le indagini del pubblico
ministero si sono sostituite al contraddittorio dibattimentale come momento
nevralgico dell’intervento giudiziario, e in definita l’iniziativa penale
piuttosto che misurarsi coi
comportamenti individuali patologici s’è trasformata in una
centrale di controllo sociale cui l’area giudiziaria non sarebbe deputata.
L’effetto più immediato di quest’anomalia sul piano processuale
è l’enorme sproporzione che s’è determinata fra produzione
investigativa e capacità d’assorbimento della giurisdizione.
Oggi chiedersi cosa resti in termini giudiziari di Tangentopoli deve
costituire un momento di riflessione visto che specularmente alla stagione
degli entusiasmi - ricordate i grandi manifesti di Milano con la striscia
«Borrelli facci sognare»? - si staglia un desolato quadro d’inefficienza.
Tangentopoli oggi non è che un tassello del complessivo sfascio
della giustizia, al quale andrebbe posto rimedio con criteri di prevalente
pragmaticità cui purtroppo la nostra tradizione culturale, sia giuridica
che politica, è poco sensibile
*penalista
|