"Sul
513 la Consulta sbaglia"
da La Stampa del 27.3.99
MILANO. "Sulla giustizia si parla troppo e si produce poco e male":
questo il punto di partenza di un convegno organizzato alla Statale di
Milano e che ieri ha visto discutere giuristi di una decina di università
italiane.
Spiega il professor Ennio Amodio: "E' necessario far uscire il discorso
sulle riforme giudiziarie dai proclami e dall'emergenza. Io ricordo la
qualità del dibattito di quindici anni fa sul nuovo codice di procedura
penale; l'attenzione che politici e magistrati davano a quanto si stava
elaborando nelle università, la capacità di dare indicazioni
al legislatore. Adesso tutto questo non c'è più, e i risultati
si vedono".
Un pressapochismo, una schizofrenia nell'elaborare le leggi che fa
provocatoriamente dire al professor Dalia: "Sarebbe meglio che il Parlamento
sospendesse i lavori sulla Giustizia, che riflettesse prima di fare altri
danni". E il suo collega Lozzi: "Insegnare procedura penale sta diventando
inutile; il legislatore cambia continuamente le norme per accontentare
di volta in volta una parte o l'altra".
Ma gli strali che arrivano ai parlamentari sono poca cosa rispetto
a quanto vien detto sulla Corte Costituzionale e la sua sentenza sull'articolo
513 del codice, quello che regola le dichiarazioni degli imputati di reato
connesso. "I giudici della Consulta - dice il professor Massimo Nobili
- si sono assunti un ruolo nuovo, una sorta di arbitramento, modificando,
e non poco, il loro ruolo istituzionale. Non solo, hanno addotto principi
che la nostra carta costituzionale non prevede affatto". Gli fa eco Oreste
Dominioni: "Leggere il testo della sentenza che regola il 513 è
mortificante".
Il perché lo spiega Amodio: "Ci viene sciorinato un contraddittorio
finto. Nelle aule dei tribunali ciò si traduce in un pm che sventola
un verbale di fronte a un tizio che si avvale del suo diritto a non rispondere;
il pm insiste ''Ha dichiarato questo e quest'altro'' e il tizio continua
a tacere, fino a che la farsa finisce".
Questo il risultato di quella sentenza, frutto - secondo i giuristi
intervenuti - di un "ruolo improprio" della Corte Costituzionale, frutto
a sua volta di "ingorgo istituzionale" che ha prodotto un "ingorgo legislativo".
Sembra una spirale senza fondo, ma dal dibattito emerge anche una via d'uscita:
un raffreddamento dei proclami, una discussione pacata che riparta dalla
carta costituzionale e dallo spirito che aveva animato la riforma del codice.
[s. mr.]
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