Riforme,
Berlusconi pronto a rompere
da La Stampa del 27.5.98
ROMA. Silvio Berlusconi non ha intenzione alcuna di arretrare sulle
riforme. A costo di far fallire la Bicamerale. Di più ancora: a
costo di rompere con Gianfranco Fini. Sì, perché quello che
rischia di accadere oggi, nel vertice del centro destra, è proprio
questo: la spaccatura del Polo. Il leader di Forza Italia non solo intende
intervenire nell’aula di Montecitorio, per dire che “o si dà al
capo dello Stato eletto direttamente dal popolo il potere di sciogliere
il Parlamento o non se ne fa niente”. Vuole anche avanzare una controproposta:
ossia il premierato forte, condito con proporzionale e sbarramento al cinque
per cento. Il ragionamento di Berlusconi, in sostanza, è questo:
piuttosto che un presidenzialismo edulcorato, meglio, molto meglio, ripartire
da zero, prendendo spunto dagli esempi inglese o tedesco. Anche perché
un’ipotesi del genere ha grande “appeal” presso la maggioranza di centrosinistra.
Ora è chiaro che Fini non può accettare una soluzione
del genere. A malincuore, il presidente di Alleanza nazionale potrebbe
(e soprattutto dovrebbe) assecondare Berlusconi sulla sua difesa del presidenzialismo
forte, e infatti annuncia che oggi voterà gli emendamenti di Fi
in materia. Ma quel che Fini di certo non è in grado di fare è
seguire il Cavaliere sulla strada del premierato forte, perché significherebbe
rinunciare a una bandiera - quella del presidenzialismo - che per il capo
di An è irrinunciabile. La situazione, quindi, è più
che complessa. Il terzo leader del centro destra, Pierferdinando
Casini, deve essersene reso conto dal momento che si è assunto l’onere
di tentare una mediazione tra Berlusconi e Fini. Il che è difficile
visto che i due, in questi giorni, sono come cane e gatto.
Il presidente di Alleanza nazionale è inquieto. “Sinceramente
- confida ai suoi fedelissimi - non mi aspettavo che Silvio arrivasse sul
serio al punto di rompere con D’Alema”. In più Fini è arrabbiato
con Berlusconi perché invece di limitarsi a far saltare tutto vuole
aprire una trattativa su un altro versante con il medesimo interlocutore
- Massimo D’Alema - che si era scelto lui stesso. Il nervosismo del leader
di An è dovuto anche a un altro motivo. Dentro il suo partito il
malcontento monta. I parlamentari di via della Scrofa si chiedono se per
il presidenzialismo versione italica valesse veramente la pena di instaurare
un “feeling” con il leader della Quercia che i loro elettori faticano a
digerire e a capire.
Ma se Fini non sprizza amore per il Cavaliere, altrettanto si può
dire del suo alleato. “Sul presidenzialismo - si sfoga con i suoi il leader
di Forza Italia - Gianfranco è andato per conto suo, e ha cercato
di aprire un canale preferenziale con D’Alema. Sulla giustizia mi ha trattato
malissimo, con quell’uscita di Mantovano sui due gradi di giudizio”. Sì,
Berlusconi ce l’ha con Fini e sulle riforme ha deciso di fare a modo suo.
Come si evince in modo eloquente dalle sue parole. Dice il Cavaliere: “Non
consentiremo pasticci. La maggioranza ha fatto dei passi indietro e noi
questo non possiamo permetterlo”. Così, alla fine di una giornata
di estenuanti mediazioni e di incontri e colloqui telefonici (con Fini,
Letta, Berlusconi), Casini ammette che la situazione è difficile.
Al vertice occorre ricucire, per forza, altrimenti il Polo rischia di presentarsi
in ordine sparso all’appuntamento con le riforme.
Comunque, che tiri una brutta aria per il lavoro partorito dalla Bicamerale
lo si capisce già in mattinata. Poi nella riunione del comitato
dei 19 il rischio della rottura diventa sempre più evidente. Fi
ribadisce le sue richieste (che oggi verranno votate dall’aula): potere
di scioglimento incondizionato per l’inquilino del Colle. D’Alema le boccia:
in questo modo, spiega, il presidente diverrebbe “capo occulto del governo”
e “sarebbe in condizione di poter ricattare continuamente l’esecutivo”.
I rappresentanti di Fi irridono alle obiezioni del leader della Quercia.
“Chiacchiere accademiche da piccolo costituzionalista o da studente impreparato”,
commenta Giorgio Rebuffa, e aggiunge: “Se D’Alema vuole portare il suo
progetto con una maggioranza bislacca, faccia pure, vorrà dire che
lo batteremo nel referendum”. Intanto Giuliano Urbani anticipa il pensiero
del Cavaliere e ipotizza il premierato forte.
Al calar della sera sono tutti pessimisti, e nemmeno la notizia che
la proposta di legge elettorale di Mattarella (che traduce in normativa
il patto di casa Letta) è in dirittura d’arrivo, apre uno spiraglio.
Anche perché, nel frattempo, al Senato è fallito pure l’accordo
sul Csm. Osserva sconsolato il diessino Cesare Salvi: “Non ci sono le condizioni
per l’intesa”. D’Alema dice: “Se fallissimo sarebbe la catastrofe”. Ma
il più nero di tutti è Fini: “Che cosa accadrà dopo?”,
si chiede preoccupato. Tocca a un politico di lungo corso, quale è
De Mita, sdrammatizzare: “Se non si fanno le riforme non crolla il mondo”,
commenta serafico.
Maria Teresa Meli
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