“Il centrosinistra paga gli errori sulla giustizia”

da La Repubblica del 27.5.98

Di Pietro commenta il voto: “Il cittadino italiano è come
me, un moderato che crede nel bipolarismo”

di SEBASTIANO MESSINA
ROMA - Antonio Di Pietro parla come sempre con la furia inarrestabile di una colata lavica. Siamo nella sede dell’”Italia dei valori”, una sede fresca di vernice, con le poltroncine di plastica che portano ancora attaccato il cartellino del prezzo.  Per chissà quale misteriosa e beffarda coincidenza, l’ufficio dell’ex pm si affaccia su via del Corso, la stessa strada romana dove una volta c’era il quartier generale del suo imputato più potente: Bettino Craxi. 
Dalle finestre si sentono motorini smarmittare e allarmi
suonare lontani, ma qui dentro regna un ordine, come dire?,
dipietresco. Tutti i volontari hanno un cartellino sul petto. C’è
gente che arriva incerta per chiedere l’iscrizione e poi
imbocca l’uscita con sicurezza portando sotto il braccio
rotoloni di manifesti. Sui volantini, sui manifesti, persino sui
moduli di iscrizione (che chiedono subito “eventuali condanne
penali passate in giudicato”) riappare ossessivamente il
numero verde del movimento, 147- 012345, che finora
dev’essere il principale strumento di comunicazione tra i dipietristi e il mondo esterno. Il corridoio che porta alla stanza del leader è chiuso da una porta a vetri con un cartello vagamente minaccioso: “Vietato l’ accesso ai non autorizzati”.  Oltre la porta, c’è lui. “Il cittadino italiano si rivela per quel che è” commenta Di Pietro leggendo i risultati elettorali.  E com’è, senatore, il cittadino italiano?
“Un moderato di centro che crede nel bipolarismo”. 
Come lei.
“Come me. Io sono un moderato di centro che ha scelto di stare nel centrosinistra per il suo programma”. 
E come spiega che l’Ulivo perda colpi, nonostante il successo dell’Euro? 
“Perde colpi perché non sempre ha rispettato quel programma. Per esempio sulla giustizia. Invece di restare fedele alla sua linea ha fatto delle pericolose oscillazioni che hanno lasciato molto amaro in bocca a coloro che hanno creduto nella sua capacità di rinnovamento”.
Parla delle oscillazioni sul pool di Mani pulite?
“Parlo delle posizioni sull’indipendenza della magistratura e sulla composizione del Csm. Parlo della decisione della Bicamerale di rendere più facile l’ amnistia, abbassando il quorum alla metà più uno dei parlamentari. Parlo della recente decisione dei partiti di impossessarsi di 110 miliardi di finanziamento pubblico, nonostante il contribuente non glieli abbia dati. Queste oscillazioni, questi tentennamenti, queste incertezze nelle scelte di campo hanno confuso le idee agli stessi elettori dell’Ulivo. Sono cose che poi si pagano, in termini di consenso. Per non parlare dell’ipotesi assurda di istituire una commissione parlamentare d’inchiesta su Mani pulite. Come se già non indagassero i magistrati, su di noi”.  A proposito di indagini, in queste ore la procura di Brescia sta decidendo se chiedere o no il suo rinvio a giudizio per la celebre frase di Pacini Battaglia, “Di Pietro e Lucibello mi hanno sbancato”. Cosa si aspetta?
“Cosa vuole che mi aspetti? Ormai ci sono abituato. Non è la prima volta. In molti altri casi - anzi in tutti - la procura della Repubblica ha chiesto il mio rinvio a giudizio. E tutte le volte nell’ udienza preliminare ho dimostrato che erano tutte fandonie. Aspetto fiducioso anche questa vicenda. Se uno non ha fatto niente, se non ha commesso alcun reato, non ha nulla da temere”.
Come va la raccolta delle firme per i referendum elettorali?
“Siamo ancora a 120 mila firme”.
Non sono tantissime, considerato che dovete arrivare almeno a 500 mila.
“Ci arriveremo, ci arriveremo. Dal punto di vista organizzativo faccio presente che il movimento Italia dei Valori è nato nello stesso momento in cui è partita la raccolta delle firme per i referendum. E’ come montare il motore di una macchina dopo averla messa in moto. Però raccogliamo un consenso crescente, sia per il movimento sia per i l referendum... Devo dire che questa legge sui referendum è stata fatta apposta per complicare le cose”.
In che senso?
“E’ farraginosa. Burocratica. Complicata. In un’era in cui basta accendere e spegnere la luce per sapere quante persone la pensano in un certo modo sulla pena di morte, per un referendum bisogna superare un labirinto pieno di trappole. Bisogna andare in Cassazione. Bisogna firmare su moduli tutti uguali. Bisogna farlo davanti a un pubblico ufficiale, e soltanto nel comune di residenza. Bisogna allegare un certificato di iscrizione alle liste elettorali. Bisogna indicare il numero di iscrizione alle liste elettorali. E soprattutto bisogna che tra la prima e l’ultima firma non passino più di tre mesi: se ne passano quattro la firma non è più buona, chissà perché. Chi può fare tutto questo? Soltanto le truppe cammellate dei partiti, quelli ai quali qualcuno può dire: da domani si raccolgono le firme. Chi, come noi, fa parte della società civile e ha un altro lavoro, deve fare i salti mortali”.  E lei come li fa, i salti mortali?
“Girando l’Italia città per città, paese per paese. E lì chiamo a raccolta i cittadini. Non avendo una mia Retequattro, uso il vecchio sistema”.
Che sarebbe?
“Piede svelto e altoparlante. Passaparola. Catena di Sant’ Antonio. Così raccolgo 2500 firme al giorno, poi lascio come nell’anno Mille un nucleo di referendari a presidiare il posto.  Entro la prossima settimana avrò finito il mio giro d’Italia”.  Non si può dire che finora il referendum abbia suscitato l’ entusiasmo popolare...
“Perché la tv non ne parla, e i giornali neppure. Eppure è un
evento importantissimo. Qui, in Parlamento, stanno
discutendo di riforme senza l’oste”.
Chi è l’oste, scusi?
“Il cittadino. Il cittadino che tornerà con la sua guantiera di 500 mila firme a dettare le regole del gioco. Tutti stanno discutendo come se niente fosse, litigano sul patto di casa Letta o sul Mattarellum 2, ma della mattarellata che i cittadini stanno per dargli nessuno si sta rendendo conto. A fine luglio sul sistema partitocratico arriva una mattarellata che se la ricorderanno per un pezzo. E insieme al referendum arriva pure una proposta di legge popolare sul doppio turno di collegio: con 500 mila firme, la devono mettere subito al primo punto dell’ordine del giorno. Forse sperano che non ce la facciamo a raccogliere le firme”.
Ma voi, siete certi di farcela?
“Ce la faremo. E’ sicuro. E’ sicuro. E’ sicuro. Male che vada,
io vado in mezzo a uno stadio e chiamo a raccolta tutti. Trovo
inaccettabile, piuttosto, che i partiti - nonostante a parole
dicano di essere favorevoli al maggioritario che proponiamo
noi - facciano i pesci in barile. Non ostacolo ma non
promuovo, dice Fini. Che vuol dire? D’ Alema sta a
guardare. Che senso ha? E’ l’atteggiamento di chi si vuole sedere a tavola solo dopo che qualcuno gli ha preparato la minestra. Il loro è un modo pilatesco di fare le riforme. Pur di dire “ce l’ho fatta” gli va bene qualsiasi riforma”.
D’Alema le risponderebbe che la democrazia parlamentare vive sugli accordi tra i partiti.
“E meno male che non hanno trovato l’accordo su qualcosa di terribile”.
Lo ha detto a D’Alema, tutto questo?
“Io da un mese a questa parte non ho avuto il tempo di incontrare nessuno. Mi occupo solo della raccolta delle firme.  A proposito, mi lasci dire una cosa: è fondamentale che i cittadini degli 8 mila comuni d’Italia si rechino subito nelle segreterie comunali per apporre due firme: una sul referendum abrogativo e una sulla legge di iniziativa popolare.  Per avere una nuova legge elettorale che ci faccia rimanere cittadini e non ci faccia diventare sudditi della partitocrazia”.