Il Guardasigilli all'Antimafia:
"La mia stima verso Caselli resta immutata"
da La Repubblica del 27.10.99
di LIANA MILELLA
ROMA - E al quarto giorno di aggressioni contro l'ex procuratore di
Palermo Gian Carlo Caselli, oggi direttore delle carceri italiane, il ministro
della Giustizia Oliviero Diliberto sceglie una sede istituzionale per difenderlo.
Con parole e ragionamenti che non lasciano dubbi, se mai qualcuno ha ipotizzato
che lui potesse averne. Di fronte ai deputati e ai senatori della commissione
Antimafia, il Guardasigilli afferma: "La mia stima e fiducia nei confronti
di Caselli restano immutate. Tutte le discussioni di questi giorni non
mi portano minimamente a rivedere il mio atteggiamento nei suoi confronti.
Io rivendico il merito di averlo chiamato a dirigere i penitenziari. L'ho
fatto in tempi non sospetti, ben prima che ci fosse la sentenza su Andreotti".
Diliberto, dunque, non fa una piega. E invita il Paese e i suoi colleghi
a riflettere sull'attacco che si è scatenato nei confronti di Caselli
e sulle conseguenze che questo può avere. Dichiara il ministro:
"Lo Stato italiano deve riconoscenza a chi, ormai da qualche decennio,
ha combattuto prima il terrorismo e poi ha contrastato la mafia, facendo
una vita che non si può augurare ad alcuno". Se c'erano parole efficaci
per chiudere una polemica, Diliberto le ha usate tutte. Per lui, gli attacchi
a quello che oggi è uno dei suoi direttori generali sono una questione
chiusa.
Ma è inutile nascondersi che, invece, il caso Andreotti è
tuttora apertissimo. E il ministro della Giustizia, pur con la necessaria
cautela nei confronti di una sentenza, è chiamato a esprimere valutazioni
e giudizi sul polverone che si è scatenato in questi giorni. Tema
obbligato, ad esempio, è quello del cosiddetto "suggeritore", sollevato
dall'ex presidente del Consiglio, convinto che qualcuno abbia non solo
"suggerito" il suo nome ai pentiti, ma anche "suggerito" ai giudici di
mettere in piedi l'inchiesta. Anche su questo, Diliberto è tranchant.
Con una premessa: definisce "esemplare" il comportamento tenuto a Palermo
dall'"imputato Andreotti", al punto da additarlo come "un esempio per tutti
gli altri imputati eccellenti".
Ma, giunto alla fine, anche il senatore forse sta perdendo qualche
colpo. Dice Diliberto: "Se uno afferma che c'è stato un suggeritore
dovrebbe anche aggiungerne il nome. Tutti, da destra e da sinistra, aspettiamo
che Andreotti faccia il nome per consentire poi a questa persona, in nome
del garantismo, di potersi difendere". E, anche in questo caso, aggiunge
una considerazione che suona ultimativa: "Di tutto abbiamo bisogno fuorché
di veleni". La caccia al "suggeritore", insomma, a Diliberto non è
piaciuta. E ha trovato disdicevole che fosse coinvolto anche "un alto funzionario
dello Stato". Il Guardasigilli, a questo punto, ha difeso il vicecapo della
polizia Gianni De Gennaro, come ha fatto con Caselli. Ha aggiunto: "Oggi
Cossiga, che certamente non viene dalla mia parte politica, ha difeso pubblicamente
il prefetto, che è stato un collaboratore di Giovanni Falcone".
Inevitabile anche una frecciata polemica contro l'ex ministro della
Giustizia Filippo Mancuso, oggi componente dell'Antimafia, "reo" di aver
dichiarato che il suggeritore poteva essere individuato in De Gennaro.
Mancuso si è "vendicato" contestando il recente viaggio in Cina
del ministro, "un paese dove c'è la pena di morte", e rimproverandogli
di aver chiamato a via Arenula solo magistrati di sinistra. Naturalmente
Diliberto ha risposto per le rime: "Ero in Cina per una visita di Stato.
Le relazioni politiche servono anche per superare la pena di morte. Al
ministero ho chiamato solo due magistrati di sinistra, ma ho ottimi rapporti
con il presidente dell'Anm, Martone, che di sinistra non è".
Come aveva già fatto domenica a Sorrento, Diliberto si è
schierato dalla parte dei magistrati. Spiegando che lui "non difende le
toghe in quanto tali, ma l'indipendenza di giudici e pm dal potere politico".
E sul rapporto politica-giustizia il ministro ha tentato di invertire la
vulgata del Polo che vede nei pm un soggetto politico attivo: "In questi
anni non direi proprio che qualche magistrato ha cavalcato politicamente
le inchieste giudiziarie. Semmai è stato il contrario: è
qualche politico che lo ha fatto". A chi allude il ministro? È un
interrogativo da risolvere.
Infine i pentiti e la lotta alla mafia. Sui primi, il Guardasigilli
aveva già anticipato ieri a Repubblica quale fosse la sua linea
politica: no ai collaboratori a vita, no a dichiarazioni a rate, ma indispensabilità
degli ex uomini d'onore per capire e scardinare le organizzazioni criminali
che sono segrete. Perché Diliberto ha un timore. E ieri lo ha esposto
con chiarezza. L'esito del processo Andreotti, ma soprattuto le reazioni
che ne sono seguite - e in particolare le aspre critiche alla magistratura
requirente palermitana - possono produrre una sorta di "ubriacatura collettiva"
per cui, d'ora in avanti, tutti saranno portati a ritenere che "la mafia
è sparita". Invece, "la mafia c'è ancora, non è stata
sconfitta, e lo Stato deve stare molto attento a non abbassare la guardia".
Parola di Guardasigilli.
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