Paciotti: ma la colpa è
della cattiva politica
da La Stampa del 27.9.99
ROMA
«PURTROPPO il nostro è un bellissimo ma sfortunato Paese»,
sospira Elena Paciotti, ex-presidente dell’Associazione nazionale magistrati
molto stimata da Massimo D’Alema, oggi deputato europeo dei Ds.
Perché, onorevole?
«Perché manca il senso istituzionale che dovrebbe accompagnare
il dibattito sulla giustizia e i commenti alle sentenze. Tutta questa baraonda
sul processo Pecorelli è davvero sconcertante, e vedo che ci si
è messo pure l’Osservatore romano».
Ha scritto che è stata travolta la «pentitocrazia»;
non è vero?
«No, perché non sappiamo che cosa hanno detto i giudici
di Perugia a proposito dei pentiti e perché la "pentitocrazia" è
solo un’efficace battuta giornalistica. Purtroppo in Italia la Chiesa cattolica
non ha contribuito granché alla formazione del senso civico e istituzionale».
Ma che cos’è questo senso istituzionale che manca?
«Quello per cui i cittadini degli Stati Uniti sono convinti che
il loro sistema giudiziario sia il migliore del mondo anche se un giudice
civile ha stabilito che O.J. Simpson ha ucciso sua moglie e un giudice
penale ha detto che è innocente. Perché una volta scelto
il sistema e le sue regole, quelle vanno rispettate e accettate, qualunque
siano le conclusioni. In Italia invece le decisioni dei giudici vengono
commentate a seconda dei propri interessi e sentimenti».
Però è stata sconfessata una Procura che aveva chiesto
l’ergastolo per Giulio Andreotti, non capita tutti i giorni.
«D’accordo, ma bisogna mettersi in testa che questa è
la fisiologia del processo penale, che può concludersi in un modo
o in un altro. Soprattutto quando si tratta di un processo indiziario come
questo. La giustizia divina su questa terra non c’è, ci sono dei
giudici pagati per controllare il lavoro dei pubblici ministeri e altri
giudici d’appello pagati per controllare il lavoro di quelli di primo grado
che possono decidere, liberamente, in maniera diversa. Se poi invece si
vuol sostenere che di fronte a un imputato di nome Giulio Andreotti la
giustizia dev’essere più prudente o non so cos’altro, allora si
dica che la legge non dev’essere uguale per tutti».
Per i politici c’è il filtro dell’autorizzazione a procedere.
«Infatti, che però nei decenni passati ha voluto dire
impunità totale. Ormai l’opinione pubblica non accetta più
l’idea che di fronte a un politico il giudice si debba fermare, mentre
con gli stessi elementi procederebbe nei confronti di chiunque altro. Stavolta
è stato fatto un processo, i giudici hanno tratto conclusioni diverse
dai pm e incredibilmente sento parlare di vendette».
Si riferisce all’avvocato di Vitalone o a Cirino Pomicino, il quale
annuncia: «La politica si vendicherà di chi l’ha offesa»?
«A tutti e due. Ma pensare di vendicarsi contro chi ha sostenuto
l’accusa in un processo è solo ridicolo, mentre sostenere che il
sistema politico deve rivalersi sulla giurisdizione è gravissimo.
Significa che il potere non dev’essere sottoposto al controllo di legalità,
e questo rivela la povertà della politica in un Paese dove ci sono
stati stragi e omicidi eccellenti tuttora impuniti, compreso quello di
Mino Pecorelli. E la politica che fa? Non cerca la verità, ma vuol
tornare alle coperture e all’impunità».
Andreotti e Vitalone sono stati accusati per 6 anni di omicidio; ora
che sono stati riconosciuti innocenti che cosa dovrebbero fare?
«In questo caso il problema è culturale, perché
non è giusto considerare colpevoli coloro che non sono stati ancora
giudicati, siano essi Andreotti, Vitalone o chiunque altro. Anche in questo
l’Italia è uno strano Paese; io ricordo sempre un telegiornale in
cui lo speaker prima annunciò la condanna di Pacciani ricordando
che anche per lui valeva la presunzione d’innocenza fino a sentenza definitiva,
e poi disse: "Ora una buona notizia, sono stati arrestati gli assassini
del piccolo Nicolas Greene". Capisce? Quelli non avevano nemmeno subito
un processo e già venivano bollati come assassini. Il dramma è
questo, e vale per tutti i cittadini. Dopodiché gli uomini che detengono
il potere hanno più obblighi di altri, e devono sottoporsi serenamente
al giudizio dei giudici. L’ha fatto Andreotti, l’ha fatto Di Pietro, altri
non l’hanno fatto. E’ un’altra dimostrazione della povertà della
politica in Italia».
Pensa che sia giusto cambiare la legge sui pentiti, dopo la sentenza
Pecorelli?
«Penso che bisognava riformarla molto prima della sentenza, anche
perché ancora non sappiamo come sono stati valutati i pentiti in
quel processo. C’è un progetto di riforma che propone soluzioni
ragionevoli fermo da più di due anni, e ancora una volta la cattiva
politica prima è inadempiente e dopo si straccia le vesti».
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