Caselli: "Contro le Procure una
campagna di linciaggio"
da La Repubblica del 27.9.99
di MARCO TRAVAGLIO
TORINO - "Sta montando un pericoloso revisionismo giudiziario, una
campagna di linciaggio, un bombardamento di attacchi e insulti contro una
certa magistratura. Bisogna fare argine e ritrovare la memoria. I politici
di destra, centro e sinistra che non condividono questi attacchi dovrebbero
rispondere...". Sono le prime parole di Giancarlo Caselli dopo la sentenza
di Perugia. L'ex procuratore di Palermo le pronuncia a Nichelino, al convegno
dei Democratici su "Mani Pulite e il vizio della memoria", con i pm Paolo
Ielo e Maurizio Laudi, i deputati Elio Veltri (Asinello) e Antonio Soda
(Ds). Ielo dissente da Gherardo Colombo ("Mani Pulite non è finita,
semmai è cambiata dopo il novembre '94") e per scongiurare il rischio
della prescrizione propone una riforma che annulli gli effetti delle attenuanti
generiche sul fattore-tempo: "Così le tangenti si prescriveranno
non dopo 7 anni e mezzo, ma dopo 15. I processi arriverebbero in porto.
E, senza questa prospettiva di impunità, gli imputati tornerebbero
a scegliere i riti alternativi". Laudi chiede una legge sui pentiti anche
per i reati di Tangentopoli: "Dopo certe riforme, come quella dell'abuso
d' ufficio, nessuno collabora più alle indagini". Poi parla Caselli:
Andreotti non lo nomina, il processo di Perugia non è affar suo.
Ma il "bombardamento" e il "revisionismo" sì.
Quale revisionismo, dottor Caselli?
"Beh, qui si sta annientando la memoria di quanto è accaduto
ed è stato scoperto in questi anni. Alcuni settori culturali lavorano
alacremente a falsificare i dati. Ma Ambrosoli, Dalla Chiesa, Falcone e
Borsellino da un lato, Sindona, Lima e Salvo dall'altro non sono morti
di polmonite...".
Anche i pentiti sono sotto accusa. Buscetta per primo. Il teorema è
questo: un conto è il Buscetta "gestito" da Falcone, un altro il
Buscetta "gestito" da Caselli.
"Sì, lo dice chi dispone di gran dovizia di mezzi, più
che di argomenti. Ma gli atti giudiziari sono lì a dimostrare come
sono andate le cose. A Falcone, Buscetta disse che dei rapporti mafia-politica
non intendeva parlare, perchè non era ancora il momento. Poi, dopo
le stragi di Capaci e via D'Amelio, si sentì quasi 'condannato'
- avendo una sua dignità e moralità - a parlarne. E parlò.
Come si può confrontare il pool di Falcone, che di quegli elementi
non disponeva, con quello che gli è succeduto, che invece li aveva
in mano?".
Ora il Parlamento riesuma la legge sui pentiti. E si riparla di smantellare
l'articolo 192, quello sui riscontri incrociati fra i collaboranti.
"I pentiti restano insostituibili, se si vogliono conoscere i segreti
della mafia, che è un'associazione segreta. E la legge, dopo sette
anni, dev'essere modificata. Ma chi dice che i magistrati non cercano i
riscontri alle parole dei pentiti è... beh, siamo buoni, diciamo
che è disinformato. La mafia i pentiti continua a temerli: un tempo
li ammazzava, o uccideva i loro parenti; ora preferisce avvicinarli. Ponti
d' oro e massima assistenza, anche legale, a chi torna indietro. E noi
che cosa offriamo ai pentiti? Polemiche, insulti, guerre di religione.
Forse è per questo che da due anni, a Palermo, non si pente più
nessuno. Il collega Laudi - lo dico ironicamente - dovrebbe guardarsi dal
proporre una legge per i pentiti di Tangentopoli: la proposta va respinta
per legittima difesa, visti i guai che toccano ai pentiti e ai pm che indagano".
Si dice che la sentenza di Perugia ha chiuso il "decennio giustizialista".
"Questo bombardamento ossessivo ha ormai realizzato uno 'sterminio
della significazione': le parole perdono il loro significato, il dibattito
è falsato, chi si oppone alle menzogne passa per folle. 'Garantismo',
da tutela dell'imputato nel processo, è diventato una difesa dal
processo: parente stretto del privilegio, anticamera di impunità.
Poi c'è il 'giustizialismo', applicato ai magistrati che non fanno
i burocrati, ma indagano, si preoccupano dei risultati delle loro inchieste,
intendono il controllo di legalità a 360 gradi. Se poi incrociano
certi interessi, allora scatta l'accusa di "accanimento". E se trovano
qualcosa da obiettare al 'giusto processo' - quasi che finora si siano
celebrati solo processi ingiusti - è un 'forcaiolo'. Per non parlare
di chi incolpa le procure - "distratte" dalle indagini sui colletti bianchi
- per l'"emergenza criminalità": ma l'impennata delle rapine risale
al 1970, quando Mafiopoli e Tangentopoli non esistevano...".
Dopo i "De Profundis" per Mani Pulite, è finita anche la stagione
delle indagini su mafia e politica?
"Io rimango ottimista, ci sono ampi spazi per recuperare il terreno
perduto negli ultimi anni. La legalità non può diventare
un optional: è un valore. Ma chi tenta di recuperarla andrebbe almeno
rispettato. Invece si scatena il linciaggio, e chi non condivide certi
attacchi tace. Così si mette in pericolo l'indipendenza della magistratura:
ci vuole più coraggio a compiere il proprio dovere a 360 gradi,
sotto un simile bombardamento. I politici di destra, di centro e di sinistra
dovrebbero porsi il problema, e rispondere".
Che altro serve, perchè l'antimafia non si arresti?
"Un doppio binario che prenda atto delle diversità e delle specificità
dei processi di mafia. Non al momento del giudizio, della valutazione della
prova. Ma nella fase delle indagini, quando la prova si forma. O si dovrebbe
formare, visto che spesso, quando c'è di mezzo la mafia, non si
trovano i cadaveri nè le armi, i killer spariscono e i testimoni
si dileguano. Se non ne traiamo le conseguenze a livello legislativo, contrasteremo
la mafia con armi spuntate
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