«Linciaggio contro alcuni
magistrati»
da La Repubblica del 27.9.99
ROMA - Muro contro muro. Da una parte i magistrati che erano o che sono
in prima linea nella lotta alla mafia, che continuano a mettere in guardia
dal rischio di delegittimare i pentiti con i continui attacchi alla loro
collaborazione. Dall'altra il mondo politico. Che, a parte qualche rara
eccezione, come il segretario dei Ds Walter Veltroni, invoca la riforma
delle attuali norme. Per difendere l'uso dei collaboratori di giustizia
è sceso in campo l'ex procuratore di Palermo ed attuale direttore
del Dipartimento amministrazione penitenziaria. «Nei confronti di
certa magistratura è in atto, da parte di alcuni, qualcosa che rasenta
il linciaggio», tuona Giancarlo Caselli. «È una aggressione
pericolosa, un bombardamento che è anche un problema di carattere
politico e su cui la politica deve riflettere», aggiunge l'ex procuratore
che ha aperto l'indagine palermitana su Giulio Andreotti. Caselli non accenna
alla sentenza di Perugia. Ma avverte: «Nel nostro Paese c'è
un pericoloso venir meno della memoria da parte di alcuni settori culturali.
Ma Ambrosoli, Falcone, Borsellino e Dalla Chiesa da un lato, Sindona, Lima
e Calvi dall'altro non sono morti di polmonite». E specifica: «All'epoca
di Falcone, Buscetta si rifiutò di parlare del coinvolgimento dei
politici. Solo dopo la strage di Capaci ci disse: "ne parlo"».
Il successore di Caselli, Pietro Grasso, è sulla sua stessa
linea. Il Procuratore di Palermo ribadisce che la sentenza di Perugia non
avrà alcun riflesso sul processo in corso nel capoluogo siciliano
e sottolinea l'importanza dell'utilizzazione dei collaboratori di giustizia:
«Senza il loro contributo non sarebbe stato possibile ricostruire
molte vicende criminali e, soprattutto, rompere l'omertà che è
da sempre uno dei punti di forza della mafia». Grasso sostiene poi
che «per comprendere la genesi di processi come quello di Perugia
bisogna risalire al clima emotivo degli anni '92-'93, quelli delle stragi
mafiose: anche i giudici sono uomini». In serata il Procuratore di
Palermo ha specificato meglio: «Se sono iniziati alcuni processi
è perché un giudice e non solo il pm ha ritenuto che il complesso
degli eventi non poteva giustificare il proscioglimento degli imputati».
Ma alla polemica pentiti sì-pentiti no, se ne aggiunge un'altra
dell'ultima ora sull'immobilismo al Senato, dove da due anni e mezzo è
fermo il disegno di legge varato dal Consiglio dei ministri su proposta
degli allora ministri degli Interni Giorgio Napolitano e della Giustizia
Giovanni Maria Flick. «Perché la riforma è bloccata
e di chi sono le responsabilità», vogliono sapere Napolitano
e Flick. I quali, in una dichiarazione congiunta, si chiedono se «ci
siano state sorde resistenze all'introduzione di garanzie e di limiti al
ricorso ai collaboratori di giustizia o se si è preferito, da parte
di altri, tener bloccata una legge che scongiurando eccessi ed abusi salvaguardasse
quello strumento importante per l'accertamento delle verità e per
lo smantellamento delle organizzazioni mafiose».
L'iter parlamentare del disegno di legge sui pentiti si sta comunque
per sbloccare. L'annuncio è del relatore in Commissione giustizia
di Palazzo Madama, il popolare Luigi Follieri: «Contiamo di licenziarlo
per portarlo all'esame dell'aula tra martedì e mercoledì».
E se Veltroni non abbandona i pentiti («Non bisogna andare a botte
emotive, grazie a loro si sono dati colpi che non si erano mai riusciti
a dare alla mafia») e Armando Cossutta parla apertamente di «polemiche
pretestuose», i responsabili giustizia di quasi tutti i partiti sono
su ben altre linee. Il vicepresidente della Camera Carlo Giovanardi (Ccd)
sostiene che «morto Falcone, i pentiti hanno cominciato a dire quello
che i magistrati volevano che dicessero». Pietro Carotti (Ppi), alludendo
alla sentenza di Perugia, definisce l'attuale normativa «un mostro»
e Marcello Pera (Fi) accusa la sinistra: «Sono due anni che non riesce
a far approvare il disegno di legge».
Flavio Haver
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