“Il ‘99 sarà l’anno delle riforme” 

da La Stampa del 28.12.98

ROMA. Può darsi che il 1999 porti bene alle riforme di cui da tanti decenni si parla senza che nulla di concreto venga offerto dai politici ai cittadini. Ora si intravedono spiragli, si abbozzano gesti di buona volontà tanto da far dire ad Antonio Maccanico, presidente della commissione Affari costituzionali della Camera, che c’è da essere ottimisti. Secondo l’ex ministro, la prima riforma che potrebbe essere partorita dal Parlamento è l’elezione diretta dei presidenti delle Regioni.
E se passasse quella importante novità, utilizzando la procedura costituzionale (art. 138) del doppio esame da parte di Camera e Senato, potrebbero seguirne altre. Non ultima l’elezione diretta del Capo dello Stato, sollecitata dal presidente del Consiglio D’Alema nella sua conferenza stampa di fine anno.  La molla che starebbe spingendo i maggiori partiti ad impegnarsi seriamente per le riforme possibili, è il referendum che mira a ridurre la quota proporzionale e che pende come una minaccia “benefica”, che induce anche i più pigri a darsi da fare. Di questo sono sicuri i sostenitori del referendum, a cominciare da Mario Segni.
“L’elezione diretta del presidente delle Regioni è l’unica risposta ai ribaltoni - dice Segni -, la riforma sta partendo grazie al referendum e si fermerà di nuovo se il referendum verrà “bloccato”. Non è un caso che questa riforma sia oggi spinta dai leaders che sono intervenuti alla manifestazione referendaria, come Fini e Veltroni”.
Anche Giuseppe Calderisi, referendario di Forza Italia, è convinto che il cammino delle riforme si è messo in moto. “Alla Camera è accaduto qualcosa di cui non si è ancora colta tutta l’importanza politica. Si è rimesso in moto il processo di revisione costituzionale per la riforma dell’articolo 122 della Costituzione al fine di introdurre l’elezione diretta del presidente della Regione. E’ accaduto grazie alla proposta di Veltroni e grazie alla proposta mia e dei referendari del Polo”. Ma tutto si potrebbe fermare se il referendum fosse bocciato dalla Corte Costituzionale, teme Calderisi.
E’ quel che dicono anche gli uomini di An, come Adolfo Urso, secondo il quale senza la spinta del referendum non si fanno neanche le riforme: “La strada delle riforme sarebbe ostruita del tutto, almeno in questa legislatura”.  Urso se la prende soprattutto con coloro che premono su D’Alema, con minacce di crisi di governo, nella speranza di indurlo, a sua volta, a sollecitare un verdetto negativo dalla Corte Costituzionale. “Mastella, segretario dell’Udr, lega la vita del governo al referendum elettorale, come se la sinistra avesse davvero il potere di convincere i giudici”.
Clemente Mastella è diventasto, in effetti, il capofila di tutti i partiti che temono gli effetti del referendum e hanno nostalgia per il sistema proporzionale. Secondo Mastella, la maggioranza deve decidere insieme quale riforma elettorale adottare, altrimenti “non può avere la possibilità di vivere a lungo”.
Ma il segretario dell’Udr è contraddetto dai suoi stessi compagni di partito.  Buttiglione gli ha detto che il governo non c’entra. Il ministro Salvatore Cardinale rassicura D’Alema dicendo che “stiamo coerentemente in questa maggioranza e non abbiamo alcuna intenzione di uscirne”. Cardinale invita i suoi e i partiti minori (quelli che più temono gli effetti del referendum) a fare “uno sforzo transattivo, occorre che ognuna delle parti faccia qualche sacrificio”.
Lo stesso fondatore dell’Udr, Francesco Cossiga, ricorda che lui è stato, con Segni, il primo a proporre il referendum, “quando i Di Pietro e i Veltroni non si sapeva dove erano”. Secondo Cossiga sarebbe un incentivo alla ripresa delle riforme la rielezione di Scalfaro. Perché si potrebbe, poi, approvare l’elezione diretta del Capo dello Stato.
Dice di non essere ottimista sulle riforme il capogruppo dei Ccd alla Camera, Marco Follini. Ma la sua sembra, soprattutto, una pressione perché la maggioranza non moltiplichi i “ribaltoni” oltre le tre Regioni (Sicilia, Calabria, Campania) già mese in crisi dalla uscita dell’Udr dalle alleanze col Polo. [r. r.]