«Se ci sarà un processo europeo si dovrà separare la causa del Kurdistan da quella di Apo»

da Il Messaggero del 28.12.98

di MARCO BERTI
ROMA Abdullah Ocalan è ancora a Roma, al sicuro nella villa dell’Infernetto. Le trattative per trovare una soluzione ”estera” sono ancora in alto mare e appare sempre più probabile, al di là di sorprese dell’ultim’ora, che il leader curdo festeggi in Italia anche il Capodanno e forse anche l’Epifania. Tutte le soluzioni sono aperte. Oggi la quarta sezione della Corte d’Appello di Roma dovrà pronunciarsi sull’esposto presentato dalla Turchia in merito allo status di Ocalan, oggi libero cittadino. Ankara chiede nei suoi confronti nuove misure cautelari. I giudici dovranno anche tener conto, così come prevede il codice penale, del parere del ministro di Grazia e Giustizia. E Oliviero Diliberto ha già espresso opinione contraria a quella della Turchia.
«Una cosa è certa - commenta Gian Giacomo Migone, presidente della commissione Esteri del Senato -: Ocalan non può essere restituito alla Turchia, neppure attraverso triangolazioni con altri paesi. Ha diritto a un processo equo».
Secondo Migone però, e qui si discosta dalla linea di ”Apo”, il processo dovrà tenere ben separata la questione giudiziaria che riguarda Ocalan e il problema del popolo curdo. «Sono d’accordo con Staffan De Mistura (il rappresentante Onu in Italia, ndr) - dice ancora Migone - quando afferma che se l’Olanda vuole ospitare il Tribunale penale internazionale, dimostri di esere in grado di gestire un processo a Ocalan».
Ma il problema reale resta la questione curda che il capo del Pkk vuole internazionalizzare, approfittando proprio di un processo ”europeo”. «Questa è l’ottica di Ocalan - replica Migone - e non della comunità internazionale. La questione curda va certo affrontata ma in altra sede come, per esempio, la Commissione Onu per i diritti umani di Ginevra».
Una tesi, quella di Migone, uomo di sinistra, che non coincide con quella della sinistra in genere. «A sinistra - afferma - c’è confusione. Ocalan e il Pkk non sono gli unici riferimenti del popolo curdo. E’ quella sinistra che non fa distinzione fra i destini degli indios del Chiapas e quelli del subcomandante Marcos e che deve imparare a non scegliere sempre le espressioni più avventuriste».
«Sento, ad esempio, parlare poco dei parlamentari curdi in carcere in Turchia per reati d’opinione - continua - e vi sono altre organizzazioni curde che non ricorrono alla violenza».
Migone definisce ”dannunzianesimo di sinistra” il culto del «bel gesto»: «E’ una posizione politicamente ambigua. Non bisogna solo impegnarsi sulla causa giusta ma bisogna anche saper individuare l’interlocutore giusto».